Cerca nel blog

lunedì 3 settembre 2012

Good Luck – Boa Sorte



I due posti a Roma in cui bisogna stare attenti agli scippi sono il mercato di Porta Portese e l'autobus numero 64. 



Domenica salpo per Porta Portese, facendo affari incredibili, anche svogliatamente, dopo non esser riuscita a trovare quello per cui ero venuta: lo specchietto sinistro del mio affidabilissimo Agility – un nome un programma – maltrattato dalla peggiore manifestazione di romanità, la maleducazione.
Al lato delle bancarelle c'è una faccia di questo posto che non si anima solo la domenica. In vecchi magazzini malconci sfilano file di caschi, tute, ricambi di biciclette che solleticano vorticosamente i miei ricordi. Nient'altro che la concorrente d'Oriente, nei suoi ferramenta di Karakoy e, perché no, nella strada di ricambi d'auto della casa mia e di Ombra.
Un piccolo scorcio che accorcia le distanze tra me e la mia Istanbul, facendomi intravedere un possibile nido dove restare, forse.
Insacchetto due camicie semiserie, o come va di moda nel mio mondo dire, da colloquio, un paio di pantaloni che non mi entreranno e un miniabito, per una di quelle serate per le quali mia madre pensa sempre che bisogna essere preparati. Inutile dire che non ce ne sono mai state di queste famose serate. Non partecipo mica a serate di beneficenza con i soldi degli altri, io. Totale 3 Euro, devoluti per la mia causa, naturalmente.


Le nuvole sono come le mie camicie nuove di mercato, quindi decido di proseguire, ancora un po'. Il caffè, servitomi da un cinesino rasta con accento romanaccio e pagato ad una stupenda ragazza caraibica, mi dà la grinta giusta per razzolare in un banchino di libri che stuzzica il mio appetito quanto solo un buon tramezzino tonno-pomodoro riesce a fare. Il mio portafogli mi obbliga a dure scelte. Mi porto a casa la guida rossa di Roma, devo davvero imparare a conoscerla questa città. Lascio con amarezza un Assimil portoghese brasiliano, mi prudono le mani, tornerò. Un ometto romano si premura d'informarmi subito che c'è anche il prontuario per il greco antico, elencandomi diatribe di decenni sulla pronuncia del “vecchio e nuovo” greco.
- Sono completamente ignorante in materia – rispondo, cercando di fuggire dai suoi fiumi di parole e quelli creati dall'acquazzone estivo scatenatosi in quel momento.
Alla prima goccia, tutti i curiosi intenti a sfogliare pagine di positivismo, Ebla e simbologia primitiva si muovono a ritmo, come se richiamati dall'alzabandiera e via, in salvo tutti i libri!


Alla fine della gita spunta dal mucchio delle banalità una bella coccinella.

Buona Fortuna.

E' già l'una passata, la fame si sente come la voglia di mangiare, magari a casa.
Quindi, cosa può essere meglio di un delizioso un kebab siriano?


venerdì 17 febbraio 2012

Dentro e fuori

Cra-cra. Cra-cra. Il mio cellulare mi informa dell'arrivo di un messaggio.
Puzzini di fritto, linciaggi dei camionisti, fantasmi delle stanze in fondo, strani aiuti ai benzinai di notte, ci sono tutti gli elementi per una storia”.

La benzina mi costa così tanto che se voglio uscire, ora, ci penso. Vedo il vento di fuori e ci ripenso. Mi addentro nel mercato della ridente località di Bagno a Ripoli ma Zefiro mi ricaccia dentro. Serve una prova di coraggio e domenica, armata di biglietto dell'ATAF, mi faccio spingere fino in centro. Insieme ad una ventina di persone, saliamo sul Palazzo Vecchio. Su su, fino ai merli, lassù all'aperto. Ed ecco che, stupita, ammiro Firenze per la prima volta. Effettivamente, cambiando punto di vista, si cambia proprio prospettiva. Ed è sempre così. Ogni volta. Il serbatoio intanto piange. Che brutta la routine.
Straniera in casa propria.
Ci mancava altro che il trasloco. Salutare quella casa che è stato sempre il salvagente. Andare via ma sapere che c'era, nonostante sentissi parlare francese, turco, ostrogoto. Sapere là i fiori secchi della strega a proteggere la casa, anche dalla megera di quella di sopra.
Ora c'è il biliardo a pensare a tutto e mi manca pure lui, lo sento lontano.






Per sentirmi a casa ho cominciato il corso di turco. Ho scoperto dei falsi amici, ci sono sempre. Fare non è altro che un topo. E mai dimenticarsi della i senza il puntino per non scivolare da spesso a Fot**i*ti! La stanza del corso è in fondo, quasi di sbieco e non si vede bene. A metà lezione entra un omone alto alto chiedendo a muso duro chi fossimo. Non soddisfatto chiede il perché di quella riunione. Alla risposta “Turco!” gira i tacchi e sbatte la porta con un grugnito.

Una sera vado in visita ai miei amici con la storia complicata da spiegare che poi tutti mi finiscono solo col chiedere: “Ma perché li conosci?”. Paula, argentina, ci ha preparato la pizza. Vive col suo canadese, lo chiamerò Dante, data la sua grande competenza e passione per la cultura italiana nonostante lui monti i tendoni del circo, per lavoro. Arrivo a casa inebriata dai discorsi in inglese, italiano, spagnolo e francese. Respiro, a casa. Ho riempito bottiglie di plastica di conchiglie prese un po' in qua e un po' in là. Giusto per ricordarmi da dove vengo. Inspiro ed espiro. Non può essere, no, dai. La mia maglia sa di fritto. Abbiamo mangiato la pizza, migliore della maggior parte delle pizze a Firenze. Al forno a gas.

Arrivano i dinosauri a Firenze. Così dice Repubblica. I camion li scaricano con grazia davanti all'Orto Botanico. E poi li fanno a pezzi, indifesi. Se si potessero ribellare...

Il messaggio concludeva così:
Lo sapevate che la benzina può fondere le bottiglie di plastica?”

domenica 27 novembre 2011

Io panso siempre


Ebbene si, sono tornata nella mia propria casa.
Sono sei mesi che sono tornata. 
Ho ammirato le vie del centro, sono tornata agli Uffizi e sono andata a visitare gli appartamenti reali a Palazzo Pitti la sera, quando è gratis.
Questo è lo stesso tempo che ho passato con Potere, Ombra e Angeliki, solo che eravamo a Santa Sofia a Taksim e sul Borforo. Loro sono rimasti lì ed io sono qui. Altri però mi hanno raggiunto qui. In realtà non hanno raggiunto proprio me, non vorrei passar da egoista per carità, però in qualche modo i piccoli maliani si sono trovati sulla mia strada. 
Ed io sulla loro.


















Martedì scorso arrivo a scuola e do ai miei bimbi tre piccoli pezzi di carta ciascuno. Chiedo loro di scrivere tre problemi. Al momento di scoprire il contenuto di questi piccoli foglietti, riempiti di cancellature e correzioni, Messi ride. Lo guardo, con i suoi mini rasta e la maglietta del Napoli. Ha lasciato 2 gemelli in Mali e quando ne parla ha sempre un luccichio nello sguardo. Ha 22 anni. A volte sembra che lui sia altrove. Serve richiamarlo più volte per avere la sua attenzione.
Prende in mano uno dei suoi 'problemi' e me lo porge. 
Lo guardo, ancora, e lui mi mostra tutti i suoi denti bianchi. "E' un grande problema, io panso siempre, non ho tempo per il resto" - dice lui.
Eppure non vedo dove effettivamente sia il problema di pensare continuamente. Dovrebbe essere un vantaggio anzi.
Oggi invece Messi mi dice che saluta le ragazze italiane da lontano. Baba ride. Anche gli altri si uniscono. "Ha paura" - si sente tra i banchi. Continuando a riflettere non so effettivamente cosa pensare. Messi si accorge della mia perplessità.
"I ragazzi italiani sono pazzi eh! Se io do bacio a ragazza poi lui puuuuum, pistola eh!"

Nel frattempo l'unica vera bimba, solo per età purtroppo, disegna e scrive parole italiane a caso. Mi regala disegni col mio nome e il suo: Marianna - Mahjabin. Poco dopo arriva il padre, che sarebbe dovuto essere a scuola anche lui ma ha sempre qualcosa di più importante da fare che imparare l'italiano. La noveenne indianina lascia i fogli sul tavolo: uno è cosparso di solo due lettere a formare solo un nome...ba-ba, ba-ba, ba-ba (1)... Un dolcissimo amore platonico verso il suo grande e grosso compagno di giochi.

Alla fine della lezione anch'io ricevo il mio pizzetto, da parte di Cantante e dice più o meno così:
Muoi ausi ge t'aimer.
Mentre cerco di interpretare le sue zampe di gallina, spremendomi le meningi, do ragione a Messi. Anche perchè non si riesce mai a pensare a tutto. Come quando un altro dei bimbi maliani, facendo qualche esercizio di lettura legge lavagna la-va-gi-na....
Questo è quello che si dice un errore intelligente, in fondo nessuno gli aveva insegnato il suono "gn", cosa che ho appreso a mie spese...

"Mio problema io panso siempre" ma non è mai abbastanza. 
Bravo Messi. 10+.





1. E pensare che in molte lingue Baba vuol dire papà!





martedì 3 maggio 2011

C'è un turco, una greca ed un'italiana...


Ce l'ha un marito?” mi chiede di punto in bianco il diciassettenne Lucky.
Io mi giro a destra, a sinistra ma non vedo nessuno. Quindi ce l'ha proprio con me. La sua domanda suona come il verso di un'oca, e vi assicuro che l'eco c'era. Non è colpa sua, è l'indonesiano che suona proprio così, ormai ci sto facendo l'orecchio e inizio a capirli.. quando parlano turco ovviamente.
Mi faccio comunque ripetere la domanda. Io rispondo che sono ancora giovane, non per forza si deve pensare che io sia sposata. Un altro papero mi sostiene – è troppo presto!- dice Ogky. Grazie. Piuttosto, ma che nomi hanno questi brutti anatroccoli?
Nello scorso post ho gridato sole ed ora, guardando dalla mia finestra vedo solo grigio. La caldaia ogni tanto mi fa saltare sulla sedia, ormai mi immagino di avere lunghe e profonde conversazioni con lei, in fondo siamo compagne di stanza.
D'altro canto a casa c'è una atmosfera calorosa. Mi sembra davvero di vivere con un fratello ed una sorella.

Quindi, facendo il punto della situazione...
Il sillogismo va da sé.

Ecco come sono andate le cose. 

Angeliki mi ha portato pure il maiale. Nessun doppio senso. A volte non si realizza quanto ci possano mancare certe cose fino a quando non le si possono avere. Questo è un po' il caso del maiale a Istanbul. Quasi mi commuovo mentre lo azzanniamo con le mani untissime. Potere ci guarda perplesso. Poi ripensandoci, gli siamo piaciute così, senza troppi fronzoli a sbranare come cavernicole. Finito il lauto pasto, non so come, ci siamo agitati e siamo finiti per ridere tutta la sera. Credo sia l'energia di Angeliki che sia davvero contagiosa.

Un turco, una greca ed un'italiana. Sembra quasi l'inizio di una barzelletta. Forse lo è davvero.

martedì 26 aprile 2011

Istanbul'da Aşk. Amore ad Istanbul.


Pochi film e sono già esausta. Questo è l'Istanbul Film Festival e pensare che io mi sono vista solo quattro film. La gente impazzita fa maratone anche da quattro film a giornata. A me non riescono a entrare così tante informazioni cinematografiche in così poco tempo. Mi faccio sopraffare, specialmente se quello che vedo mi fa pensare e, se così non fosse, non ne varrebbe nemmeno la pena.

Prima scena da dimenticare per una che ha la famosa fobia che ho io.
Non che il seguito sia stato così facile da digerire. Una metafora della vita valida ancora oggi: uomini e donne, stipati in anguste celle che vendono se stessi o si vendono a vicenda per un pezzo di pane, una scopata, una sigaretta. Cos'è che ci fa ricordare di essere umani? Cos'è davvero che ci fa distinguere dagli animali? A volte penso che i veri animali siamo noi, infognati nei nostri pensieri malsani e il nostro aspetto da difendere.

La 'bellissima' scenografia.

Immaginate il film più brutto che possiate vedere. Moltiplicatelo per n volte e ancora non siete nemmeno lontanamente vicini. Eppure il titolo prometteva bene. Quando chiedo a Potere se vuole accompagnarmi gli dico: “Are you interested in 'Istanbul'da aşk'?”
Mi risponde con un sorrisetto: “E chi non è interessato?!? é una vita che lo cerco!”.
Peccato che non trovo nessuno spunto nel cinema dove la cosa più interessante sono i disegni sul muro, sembra di stare nel teatrino di Mangiafuoco.
Potere continua a cercarlo l'amore ad Istanbul ma ancora pare non avere successo. Si poggia su un fiore e poi su un altro, senza tregua. C'è una sfilza intera di ragazze con lo stesso nome, poi la bionda anoressica e la femminista figlia di papà. Non m'importa niente della bellezza -dice- voglio solo trovare l'amore.
E in questa città gli spunti sarebbero tanti: le margherite nel pratino del sultano, la luce fioca del tramonto vista dalle sponde asiatiche, brindare con una Efez fresca dopo le salite di Büyükada (la grande isola), il suono del Bağlama...
Ora è arrivato anche il sole a riscaldare i cuori. Anche a me viene più voglia di sorridere, anche a pensare quanti bellissimi tipi di amore ci sono. Ho trovato un fratello qui, che mi consola quando sono triste e mi insegna i balli curdi per strapparmi un sorriso. Spero che Potere trovi la sua margherita, quanto se la meriterebbe.
Penso alle sorelle che ho a casa che mi fanno commuovere ogni volta e che a volte si incontrano anche per caso, immagino le espressioni felici della Bionda e della Strega a bersi spensierate un bicerin a Torino.
Penso a quanto è bello andar via per poter tornare.
Ciò non toglie che quando si resta a casa non si vede l'ora di fuggire e cambiar aria.
Straniera all'estero, straniera in casa propria.
Floransa'da aşk potrebbe essere un miglior film?


L'amaro in bocca non tarda a tornare. Col gruppo di conversazione in italiano andiamo a vedere Draquila. Sabina Guzzanti è presente. Alla fine del documentario viene voglia di dimenticare ciò che si è appena visto ma purtroppo non serve a niente. Come non serve a niente scappare. Un intellettualoide italiano mi sente e subito mi aggredisce e con la bocca storta mi dice: “Scappare?!? Bellina, io son venuto qui a lavorare!” In effetti, lavorare in Turchia per un italiano è abbastanza facile, ma sembra un po' un controsenso abbandonare le ingiustizie della terra natia per fregarsene anche di quelle, da certi punti di vista anche peggiori, turche.
Ormai gli italiani all'estero sono diventati ancora di più una barzelletta di quelli che restano.
Una sera vado a mangiare in un localetto tranquillo e, con mia grande disapprovazione, inciampo in uno squallido piano bar di un napoletano. Non so ancora decidere se il peggio in questa situazione sia lui con la sua scelta di pessime canzoni rappresentanti l'Italia dal suo punto di vista o una cicciona impicciona, anche lei campana, che commenta “Eh, un po' di campanilismo ci vuole ogni tanto!”.
Andiamo via schifati. Comunico il mio disappunto alla cameriera che mi chiede di dove siamo. Italiani! -dico io- ma qui d'Italia non c'è nulla!

venerdì 1 aprile 2011

Güneş. Il sole.

E' arrivata la primavera tanto agognata. Così dice il calendario, non il tempo. L'aria soporifera però già si respira, insieme a tutte le buone intenzioni o, almeno, quelle di fare un buon pisolino pomeridiano.
Questa settimana è stata un susseguirsi di conferenze di archeologi italiani che mi hanno riportato in una dimensione parallela. Il mio amico dottorando croato si trova in gravi difficoltà tra i relatori che parlano in italiano e la traduzione simultanea turca. Non da meno gli incontri all'IFEA che si sprecano tra francese e turco. Per la prima volta sono fortunata ad esser un'italiana che ha fatto l'Erasmus in Francia.
Ancora in tema di conferenze la più curiosa, per esser gentili, è quella tenuta da uno schizzato quarantenne inglese, illustratore archeologico, che ci presenta le sue opere piene di pathos di ricostruzioni di accampamenti e scene di caccia mesolitici, conventi medievali e un sorridente faraone di colore.
K.Wilson. Scena di caccia mesolitica.
Il suo colloquiare è zeppo di enfasi e battute, non comprese completamente dai suoi spettatori turchi e la sua lecture scorre veloce anche se non senza perplessità. Una punta d'arroganza da prendere in considerazione.
Il lavoro comincia ad ingranare, dopo non poche incomprensioni: mi ritrovo quindi ad incontrare Vakif, un urbanista. Chiedo al mio compagno di lavoro, Yasin, come possa riconoscerlo. Lui mi risponde che è molto facile perché “He's the orange one!”. Infatti in un secondo lo identifico: lunghi rasta rossi e un maglione arancione peruviano. Una rarità turca. Un fricchettone rosso che parla fluentemente inglese e francese. Nella pausa pranzo mi lancio nella caffetteria dell'università e in un attacco di fame mi ritrovo in una mano un hamburger e nell'altra un panino con crocchette di pollo e patatine. Non mi è venuto in mente che, con le mani così occupate non è così facile mettere ketchup e maionese. Dopo una giostra di scambi di mano e equilibri decido di ingurgitare il primo e farcire abbondantemente il secondo. Scopro con vergogna che l'urbanista sta osservando la scena, sorridendo. Così mi sono conquistata la sua simpatia e dopo la conferenza all'Istituto di Cultura Italiana andiamo a prenderci una birra insieme al croato. Quest'ultimo finisce col dirmi che, per essere italiana, sono abbastanza cool. Non mi resta che riflettere su questa affermazione. Mi accendo una sigaretta con l'accendino che avevo lasciato a Izmir a Novembre e che Erdan, che mi ospitò in casa sua, mi ha diligentemente riportato nella sua capatina a Istanbul di due ore. Siamo a Marzo, penso. Strani questi turchi. O saranno così solo gli amici di Ombra?

Un pomeriggio di riconciliazione, Ombra mi racconta quanto lui stesso non sia un tipico turco, a modo suo. L'aneddoto ha luogo davanti alla Residenza Universitaria di Nanterre, Parigi, dove Ombra incontra a caso una sua amica turca a cui aveva promesso un CD. Nel porgerglielo, l'altro amico turco inizia a fare battutine alla quartordicenne, scrutando nei minimi particolari il nostro caro Ombra. Al che il simpaticone nota qualcosa sul collo di Ombra e subito si informa: “Passata bene la serata eh? Chi te l'ha fatto questo succhiotto?”. Ombra ci mette un po' a capire. Allora mi fa vedere il collo e mi chiede se avevo mai visto quella macchia. A malapena ora, perché me lo ha fatto notare, scopro una piccola voglia sul collo. Niente di che. Ombra si congratula con l'altro per la sua prontezza di spirito e se ne va boffocchiando.

Foto O. Kozan, Ballando al Newroz.
L'arrivo della primavera mi porta sonnolenza e confusione e appunto tutto ciò viene riflesso nel mio post di oggi.
Da menzionare la celebrazione dell'arrivo della primavera (quest'anno Domenica 20 Marzo) in Turchia, meglio nota come Newroz. L'argomento è abbastanza delicato in quanto l'origine di questa festa è molto antica e prende spunto da leggende e storie popolari radicate nella società da secoli. E' Potere che mi racconta la storia lontana di questa celebrazione. Dedicherò uno spazio solo per questa storia, affinché non venga nascosta dalla mia vena prolissa di oggi.
Ora mi soffermo sul lato problematico dell'evento. Il primo avviso l'ho avuto quando ho chiesto ad un gruppetto di amici turchi se domenica sarebbero venuti anche loro al Newroz. Il loro sguardo mi dice tutto. All'inizio penso che siano degli integralisti nazionalisti contrari alle manifestazione delle altre minoranze etniche. Poi, yavaş yavaş (mano a mano) capisco che come tutte le cose, all'inizio spensierate e naturali, la contaminazione politicizzante é ormai un passo obbligato. Ormai siamo agli estremi sia dalla parte di un governo che fino al 2000 vietava tale celebrazione sia dal lato di chi, senza entrar nei particolari spinosi, strumentalizza la “festa del nuovo giorno” con un'azione politica al di sopra delle righe.
Per chi è pratico di Couchsurfing consiglio di andare a spulciare la discussione sollevata da un'altra straniera come me a Istanbul sul fatto di partecipare al Newroz:

Il mio commento? Io sono andata e ho visto sorrisi, tanti piedi danzanti e mani al ritmo della musica. Intorno stavano grandi fuochi, con fumo e cenere da far venir le lacrime agli occhi, sfidati da bambini e adulti, che saltavano da un lato all'altro dei falò. 
Foto O. Kozan. Istanbul, Newroz 2011

Ho sentito i fumi delle grigliate ancora più alti e il vento che li spingeva verso le antiche mura della città. Le scarpe coperte di fango ed i colori della gente. La folla paziente nel dileguarsi, nonostante il passo da lumaca e le buone 3 ore per arrivare alla fermata dell'autobus.



Altra notizia importante è l'arrivo del mio permesso di soggiorno. Pronto da perdere, tanto lo so. 
Nella lunghissima fila di 3 o 4 ore non mi ricordo, nonostante l'appuntamento preso, ho conosciuto una figura molto interessante: un curdo siriano che non tornerà più a casa e che studia all'Università a Istanbul l'unica cosa che poteva fare dato il suo scarso punteggio, Lingua e Letteratura Latina, dato che nessuno ci si iscrive. Peggio di preistoria, incredibile.



Quindi è arrivato il finto güneş, per poi rintanarsi nuovamente sotto le coperte. Un po' credo comunque di averlo ritrovato: nelle nuove parole che imparo, in turco e in spagnolo, negli occhi degli amici vogliosi di nuove parole, in italiano, negli errori che facciamo e nelle soddisfazioni che ci prendiamo.
Poi un concerto d'intesa turco-spagnola. Ascolta il gruppo turco, i Bandista!

Sono andata col gruppo di turchi che studiano lo spagnolo. Una ragazza mi ha chiesto dove fossero gli altri e non sapendo risponder in spagnolo ho dovuto usare vergognosamente il turco. Merdivende! (Per le scale!).

Avevo finito l'olio di girasole e, guardando l'etichetta, non c'è traccia di güneş. In Turchia, per questo fiore, sembra che decida la luna.

domenica 6 marzo 2011

Kardesler *



Inizio lentamente a studiare, ma non ancora a lavorare. Di solito, per andare al corso di turco, entravo nel dipartimento di lingue dall'entrata principale. Questa settimana ho trovato una scorciatoia, passando dal retro. Nella brina mattutina, attraverso strade semi deserte con entrate di parcheggi da un lato e dall'altro locande dismesse con sedie ricavate da ceste di frutta e signori barbuti seduti in bilico su di esse. Poi arrivo all'entrata secondaria all'università, una cancellata arrugginita. Per arrivare al mio block devo passare dal cortile. Una stesa di cemento in salita con biciclette malmesse e scale di legno a pioli come se piovessero. Alla fine della salita un rudere di mattoncini rossi spunta in mezzo a sterpaglie e arbusti secchi. Sembra un edificio romano. Buttato lì, quasi a dar fastidio. 
Sento dei versi strani e presto vedo affacciarsi da dietro questa strana costruzione un gruppetto di galli ruspanti. Ci sono anche le loro mogli. Pochi metri più in là qualche studente addormentato fuma una sigaretta prima dell'inizio della lezione.


Eppure dall'esterno l'università vuole apparire così. Mi piace di più la dimensione pollo.



In classe speravo di fare qualche conoscenza. Invece sono tutti un po' piccoli per passar insieme qualche serata, in particolare ora che in Turchia è passata una nuova legge: niente alcool nei bar ai minori di 24 anni. Non possono bere ma per andar al confine per il servizio militare non c'è problema.
Ritornando ai miei compagni del corso di turco... Entro in classe e vedo tante piccole figurine. Sei diciottenni indonesiani, due georgiani e un afgano. Sono l'unica europea e nessuno parla una lingua a me nota, escludendo il turco che ancora per me è un concetto più astratto che altro. Gentilmente ci presentiamo e li lascio di stucco comunicandogli la mia età. Per loro sono un pezzo antico e non solo per quello che studio.
Cortesemente mi dicono che sembro più giovane. Nonostante vogliano cercare di farmi un complimento non sono poi così sicura della mia reazione.

Il venerdì e il sabato sera non riesco a esimermi dall' uscire e dar sfogo alle mie dubbie capacità di ballerina. Una sera, al solito Ritim pub incontro un simpatico americano. Mi racconta del suo pacco da turista al Cairo: ben tre papiri con scritto i nomi dei suoi genitori e il suo in geroglifico, 'originali' ovviamente. Alla modica cifra di cento dollaroni. Accortosi miracolosamente del misfatto, è corso alla polizia turistica e si è fatto restituire i verdoni.
Con l'aria soddisfatta ci dice: - In più mi sono potuto tenere i papiri!-
Un'altra sera mi ritrovo ad un concerto di musica tradizionale greca a ballare con donnone attiche ed un arzillissimo sessantenne turco amante della cultura greca. Ci ritroviamo nel corridoio a fumare e scopro con piacere che parla benissimo inglese, parla solo di politica. Ma quando balla fa davvero un figurone.

La domenica in relax vado a trovare la mia amichetta australiana Viv. A breve ripartirà, passando prima a trovare i suoi figli: in via di licenza diciamoli uno in Irlanda, l'altra nel New Jersey. Ne approfitterà per visitare un po' l'Europa. Due mesi in tutto. Viv non capisce il mio stupore, poi le spiego che è a causa del rapporto distanza-tempo che sono a bocca aperta. Mi risponde che il viaggio aereo è di poche ore. Il mondo ha proporzione diverse a seconda di quanto tu lo viva effettivamente.
Viv sta vendendo tutte le sue cose e ha organizzato un mercato in casa con i cartellini dei prezzi e quant'altro. Tutto è davvero conveniente. Io sto scegliendo le tende quando arriva una sua amica turca. Mi aveva raccontato la sua storia pochi minuti prima. Sposata con un suo vecchissimo amico d'infanzia, con cui non si era più vista per undici anni, e arrivati all'altare dopo soli 2 mesi insieme. Sembra sia una cosa normale qui in Turchia, per la facilità burocratica dell'atto e dell'eventuale divorzio, indolore anche quello (burocratese parlando).
Non fa in tempo ad entrare che già la sua espressione dice tutto. Si stanno separando, dopo solo due settimane di matrimonio. Il motivo si trova nel fatto che il novello maritino, subito dopo il matrimonio si comporta come se lei fosse la sua domestica. Peccato sia la domestica quella che lavora, la proprietaria di casa, nonché quella che paga le bollette e fa la spesa. A volte i vecchi stereotipi tardano ad autodistruggersi e scomparire cortesemente.

Ombra si fa veder e sentire poco. Anzi oserei dire che quasi mi sfugge. Potere è scioccato dal fatto che non mi dia una mano per davvero.

Io trovo sempre una scusa, non ci credo nemmeno io. Non può non voler aiutarmi.
Quindi sono in un punto fermo, proprio morto, che sa quasi di stantio. Non mi riesco a sentire adeguata a non fare quello per cui sono venuta.
La volta che finalmente Ombra si palesa diviene subito una figura davvero ingombrante e riesce nel giro di poche ore a scoprire tutti i miei fili scoperti. Tenendoci a lui, riesce proprio a colpirmi ed arrivare al punto. Anzi ai punti.
Il primo a raccontare è lui.
Sciorina fuori tutti i suoi problemi e io mi sento una stupida ad aver dubitato di lui. Poi ci ripenso. Sarà tutto vero? Lo dirà proprio per farmi sentire così?
Non mi è dato saperlo. Povera vecchia europea che non sono altro.
Non disdegna comunque le mie storie, non risparmiandosi nei commenti. Dopo una lunga digressione sull'apprendimento del turco conclude col dire che, di fatto, mi sarà impossibile impararlo. A scuola usano il turco ufficiale che in realtà non esiste, i miei amici parlano fluentemente in inglese e al mercato piuttosto parlano curdo. Una missione che necessita troppi sforzi e non porta a nessun risultato.
Anche se questa è una favoletta, pensata per dire a se stesso che ci sono tante attenuanti per imparare veramente una lingua diversa dalla propria, mi sento di replicare. Un ghigno sarcastico si fa spasso nel suo viso, finendo per acconsentire come si fa con gli stupidi. Arriva poi il momento di criticare la mia scelta di frequentare un corso e un gruppo di arrampicata qui a Istanbul. Una banda di arrampicatori molto simpatica, friendly, divertente. Mi hanno trasmesso un bellissimo senso di rilassatezza e di casa, a differenza di Ombra. Uno sport da far dal paese in cui vengo o al massimo nei paesi confinanti – dice lui. In effetti non capirò mai la vera cultura e la vera vita in Turchia se persevero a cercare il riflesso dei miei interessi anche fuori da casa mia, così esotici e, appunto, senza senso...
Ombra cerca di cambiare argomento, mi chiede cosa farò la sera successiva. Vado all'incontro Couchsurfing per imparare lo spagnolo – rispondo io senza troppa enfasi.
Un grande sospiro gli fa gonfiare il torace e alzare le spalle.
- Ma perché vuoi imparare lo spagnolo Marianna!?! Sei a Istanbul! -.
Come se non fossi libera di impiegare il mio tempo e i miei sforzi. Le mie passioni.
Uno. Due. Tre.
Conto di nuovo.
Uno. Due. Tre.
Ancora resisto nonostante mi istighi a mandarlo a quel paese.
La conversazione continua. Nel frattempo abbiamo cambiato bar. Abbiamo raggiunto i suoi amici in questo locale che sembra la casa di qualcuno. Si può fumare dentro e subito ci portano un vassoio di pesci tipici del Karadeniz (Mar Nero), accompagnati da insalata. Al tavolo accanto al nostro incontro il danzatore turco dell'altra sera. Ci salutiamo contenti, forse il momento migliore della serata.
Io e Ombra cominciamo a discutere con più vigore. Mi accusa di non essere di mentalità aperta, di non tenere ai diritti delle donne, o almeno non abbastanza.
Sono stufa di questi discorsi e questo pressappochismo. Non ho bisogno di dimostrare il mio punto di vista, di quanto creda fortemente che non ci siano differenze nel genere umano, che siano di genere, orientamento sessuale, cultura o colore. Non devo dimostrare a nessuno quanto siamo tutti kardesler. Lo siamo e basta. Ombra non lo capisce. Usa parole altolocate. Prende come esempio le sue amiche femministe, così intelligenti che infatti pensano che concedersi ogni qual volta si voglia sia l'obiettivo delle loro lotte.
Intelligenza.
Quanti parametri usiamo in antropologia per definirla e nonostante tutto non arriviamo a capirla. Nemmeno nel presente.
Ombra si merita la sua stessa arma. Non mi risparmio. I suoi amici smettono di parlare sentendo uscirmi dalla bocca le sue stesse parole scurrili, in turco.
Così Ombra sorride con amarezza. Mi dice che in fondo sono vecchia dentro e forse è per questo che sono intelligente, ma soprattutto mi ha aiutato il fatto di essere così ugly. Però gli manca avermi come coinquilina. Non riesco proprio a seguirlo: ancora non capisco questi parametri di giudizio.

L'ennesima serata a ballare al Peyote è passata e le mie palpebre sempre più pesanti. Squilla il telefono, è Potere. Ha dimenticato le chiavi. Quando entra mi dice – Scusami kardesim* -.


* = Fratelli, senza differenze di genere. Kardesim= mio fratello, mia sorella.