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domenica 31 ottobre 2010

Le bambole del quartiere (31/10/2010)

Stamattina non è cominciata come una delle migliori. Dopo essermi stiracchiata tutti i muscoli ho mosso pochi passi verso la cucina, il bagno e di nuovo in camera. Il sole passa dalla finestra mentre mi metto in posizione Skype. Non avevo proprio guardato le notizie.

Compresa la preoccupazione dei miei compari italiani, riesco a tranquillizzare tutti. Di nuovo, mi mostro apatica. Come se fosse una cosa normale.
D'altro canto vengo derisa a più riprese da Ombra (cfr. Sidar) e Fossette, e poi dai loro amici: ho semplicemente chiesto “What happens?” quando ieri sera è saltata la corrente. Qui è una cosa da niente: salta senza che nessuno se ne stupisca. Non c'è nessun interruttore da tirar su. Ombra mi ricorda che sono really europea. Sempre ieri sera Ombra mi racconta dei nostri vicini, prevalentemente donne. La tipa che abita nel nostro pianerottolo lavora principalmente di notte, è una biondona russa. La vecchina di sotto sembra venire da un vecchio film di paura: è tanto tanto carina, educata e gentile, peccato che sia sfregiata per metà del suo viso. Sono curiosa di vederle.

Oggi la giornata è piacevole e, nonostante abbia davvero tanto da studiare, non voglio sprecare la mia permanenza qui a stare tutti i giorni in casa. Mi avvio a ripetere il percorso dell'altro giorno, ma con una luce eccezionale, quella del sole d'inverno. 

Passo per il viale principale, Ordu Caddesi, scrutando quel che resta del Foro di Teodosio, che tra il marciapiede e la strada muta in cassonetto e portacicche a cielo aperto. (mise 6)


Arrivo di nuovo inevitabilmente a Hagia Sophia. Oggi è più bella e maestosa, la pioggia non le rendeva giustizia. (mise 7)


Mi siedo e osservo un po' i turisti. I più beceri, come al solito, sono gli italiani, non c'è proprio nulla da fare. Tra l'odore delle pannocchie di granoturco e castagne arrosto, mi avvicino con cautela al mare, ma non troppo.
Nella strada di casa mi aspettano altre donne, impavide, inamovibili, ma, soprattutto, inquietanti. (mise 8)




sabato 30 ottobre 2010

La fretta è cattiva consigliera

Cenni riguardo alla festa nazionale turca.
Sultanahmet non cambia faccia. Del resto, dopo un'ora e più a cercare eventi relativi a questa importante celebrazione invano...
Taksim reagisce invece con più brio. Un codone di gente sfila per Istikal Caddesi armata di bandiere urlando slogan a me incomprensibili.
Altro monito: i fuochi d'artificio. Il loro fascino continua ad attrarre un numero più alto di persone di quanti soldi vengano spesi. Non riesco a capire.
La migliore performance della giornata? La pagina iniziale di Google.


Formicolio turco (30/10/2010)

Non so se senza l'ausilio di una birretta riuscirò nel mio intento, ma ci proverò lo stesso.

E' tutto il giorno che mi arrabatto cercando di ficcare nel mio cervello più informazioni (turche ovviamente) possibili. Sono uscita solo per comprare quelle cose che si appiccicano sulle finestre per parare gli spifferi. Anche in italiano ignoro il loro nome, Sidar mi ha infatti accompagnato, tornato distrutto da lavoro. Per la fatica? No, solo perché aveva sonno.
Ho anche osservato compiaciuta la preparazione dei börek. Fossette è una vera padrona di casa: armata di grembiule, frusta e minipimer gestiva contemporaneamente più pentole. Per ora sto imparando, se non a cucinare come loro, a mangiare come loro.

Ieri ho potuto constatare che, dopotutto, questa zona non è poi così male. Ho impiegato 15 minuti a piedi per arrivare a Hagia Sophia, passando per la Istanbul Universitesi (mise 4, vecchio repertorio 2008) e il Gran bazar. 



Almeno ho distaccato gli occhi da pezzi di fanali e carburatori.
Nessuno per strada mi dava volantini o mi cercava di fermare, che fortuna non essere nata bionda!
Il vento è aumentato, le labbra cominciano a spaccarsi gradualmente.
Mi rendo conto di stare diventando un po' apatica.

Avete presente quel formicolio che si prova quando si cammina per la prima volta su una strada che non si conosce? Quell'eccitazione che si prova ad esseri immersi in un'altra cultura, realizzando la fortuna che si ha nel cogliere certi tratti tradizionali e magari viverli? Ve la ricordate?
Bhè, io me la ricordo.
Più o meno questa era la mia faccia la prima volta.
(mise 5)



Pensavo che tornando in questo luogo d'incontro tra la nostra santa religione e la loro avrei trattenuto il fiato, ancor più della prima volta.
Spero sia solo una questione meteorologica, o il fatto che le miriadi di turisti spazzino via tutta l'atmosfera.
Riesco comunque a ordinare il mio primo pasto pasto in turco, con l'aria compiaciuta del tipo del baracchino.
Quindi mi riavvio a casa, contenta di poter passeggiare sotto una pioggia impercettibile, con le cuffie che suonano a vuoto a causa della batteria scarica, pessima fine, analoga a quella delle pile della mia macchina fotografica. Direte voi, potevi anche comprare delle sostitute, ma il mio genio aveva scordato che quelle che mi servivano dovevano avere “four A”, disse Sidar il fotografo.

Due chiacchere, non di più, concesse dal mio coinquilino mi fanno arrivare alle 18. Salpo verso Taksim per incontrare un'altra bellissima turca. Suzi mi aspetta al Galatasaray Lisesi e mi porta nelle rete di stradine affollatissime lì dietro. Ci sediamo e il tempo passa velocissimo. Mangiamo e beviamo. Rispondo a un turco che mi chiede l'accendino che di tutta risposta si stupisce del fatto che l'abbia capito. C'è da dire che una delle prime cose che impara un fumatore, ancor prima delle parolacce, sia proprio chiedere da accendere. Ad un certo punto, mi sento chiamare per nome e qualcuno mi si rivolge in un italiano un po' impacciato: una mia studentessa di Firenze. La sua sorpresa è commista a un leggero fastidio. Ho orinato nel suo territorio e probabilmente non è troppo contenta la prima della classe.
Giunge il coprifuoco di Sidar. Si è raccomandato di chiamarlo nel momento in cui sarei salita sull'autobus del ritorno. Il mezzo è ancora più saturo che durante il giorno, a malapena scendo e scopro con piacere che il quartiere è ancora vivo. Il mio cellulare mi richiama alla realtà: è Suzi che si raccomanda di farle sapere quando arrivo a casa. “Arrived” scrivo – mamma, penso.

giovedì 28 ottobre 2010

Solo nomi e parole? (28/10/2010)

Che dormita! Finalmente!
Il piacere poi di svegliarsi non a casa ma comunque in un proprio spazio non è per niente male. Certo è che inizia a fare freddino, o almeno, inizia ad essere l'ora di tappare gli spifferi con qualcosa. La mia soluzione è inestetica ma abbastanza efficace e soprattutto equo-solidale a km e costo zero.
Sidar è già uscito, anzi, a giudicar dall'ora è già a lavoro che è a 10 passi da qui a essere esagerati. Quel posto è un enorme scasso, unico residuo bellico urbanistico della città e nella sua maestosità fa ciao (scusate, merhaba) con la manina e si presenta: Bisanzio. Ci andai anche 3 anni fa quando venni per la prima volta. Allora m'impressionarono ammassi di cavalli interi con tanto di parti di carri, messi lì, da una parte, facendo ombra agli operai nella pausa te. E 5 metri più sotto un 'misero' scavo neolitico: qua come se piovessero!

Mettendo in ordine le micronerie che ogni ragazza porta con sé nella borsa, per non parlare della valigia, sento l'Ombra dell'albero (in curdo, Sidar) aprire la serratura. Un'ombra bagnata, col k-way e le scarpe antinfortunistiche.

Salgo in corsa sull'autobus, letteralmente. Riesco pure ad evitare la pozzanghera. Mi sto integrando in questa città.
Ho scelto la Dilmer. Per ora è stata un'ottima scelta: dato che ho scritto sotto la voce “professione” teacher mi hanno fatto il 10% di sconto e proposto di lasciargli il curriculum. Il cielo è sempre infuriato, ma a tratti trovo un po' di colore. (mise 2)


La piazza di Taksim mi rinfaccia aggressivamente di essermi dimenticata che domani si celebrerà la festa nazionale turca.
(mise 3)



Stavolta non ce la faccio a fare la turista, la pioggia è obliqua e io ho i piedi da appendere al filo dei panni; scontrandomi con l'ennesimo passeggero passo allo “Scusi!” seguito da un lucido “Pardon”. I finestrini sono appannati e a malapena mi accorgo di attraversare il ponte. Non c'è che dire, la vista da qui è splendida, la città ha proprio in sé il fascino del caos.
Mi sono dimenticata di comprare un po' di cose stamattina al supermercato con Sidar (gli assorbenti per esempio: mi sembra proprio di vederlo a prendermi in giro su quanto sono europea); passo, prendo ciò che mi occorre e chiudo.
Sulla porta di casa 3 sacchi della spazzatura mi saltano minacciosi al naso. Scendendo le scale ecco il primo che salta. Il secondo aspetta garbato alla mia piedata in una pozza, mentre l'ultimo attende paziente. Peccato che per trovare i cassonetti c'ho messo 10 minuti. Non pensavo che avessero micro cestini a leva con la pedana e tutto il resto. A Firenze sono arrivati quest'anno!!!!
Il paese delle contraddizioni.

Stasera ho conosciuto la ragazza di Sidar. E' turca, archeologa, bellissima, sorridente.
Si chiama “fossette”.

Primo giorno per davvero. (27/10/2010)

Fuori piove.
E chi mai se lo sarebbe aspettato da Istanbul. Sì perchè qui piove spesso, del resto è autunno e non ci manca altro che un'altra persona vi informi di cose ovvie come i nostri telegiornali.
Sta di fatto che quando sono uscita stamattina pioveva in una maniera spaventosa, io non avevo l'ombrello, le grondaie in questo quartiere non si risparmiano e le canalette di scolo si trasformano in fiumi che più che kanalizazion (come dicono loro copiando il francese canalisation non con troppo successo) sembrava di attraversare il corno d'oro a piedi.

Non mi era bastata la mattina a lavare una cucina intera. Ancora acqua. Si perchè in fondo, svegliarsi la mattina (per giunta con la sveglia, quasi fosse un dovere mentre invece la mia si dovrebbe chiamare una 'vacanza-studio') per lavare una montagna di piatti con il caffè ammuffito, resti di yogurt con la pasta e almeno 5 servizi di posate dovrebbe diventare il testo di qualche comma 3c di qualche assurda legge. Via, ne passano così tante che sfido io a negare il piacere rilassante di svegliarsi con il pensiero, caldo sotto le coperte, di lavare il prodotto di un mese di vita del proprio migliore amico turco. In fondo quanti ce ne saranno? Sei, sette? Qualcuno mi risponderebbe...cala cala Merlino! Io calo ma lancio l'appello! Chiunque ci sia all'ascolto mi contatti!

La serenità post-atomica da piatti sporchi non credo di potervela descrivere: non tanto per il pulito ottenuto dopo ma proprio per ciò che avevo trovato in precedenza. Lascio spazio alla vostra immaginazione. Yoga gratis allo stato puro.

Bene. Arriviamo all'uscita di casa. Ora prevista: 12. Ora effettiva: 13.40.
Sidar era effettivamente in trance, quasi l'avessi buttato giù dal letto. Per niente risanato dal mio ultra serré caffè di moka non usata da secoli (con l'acqua del rubinetto: memorandum n.1 “It's not healty for your body” Sidar docet) mi istruisce riguardo alla serratura della porta (memorandum n.2: mettere post-it per non finire chiusi fuori, già successo ovviamente a Sidar) e per le scale salutiamo il gatto del vicino che nemmeno ci dice Gunhaiden, maleducato.

Risiamo ai fiumi di sokaklar, la fame incombe e ci tuffiamo in una çorba non identificata e un piatto di makaroni allo yogurt effetto birra gelata sui denti- che dire, ottimo. 5 Lire turche cosa posso dire di più.

Finalmente mi guardo intorno: il quartiere è proprietà dei rivenditori di ricambi di macchine. Vetrine di fanali, candele, carburatori, il paradiso dei meccanici -penso. Tra due baffoni entriamo nell'atrio di un condominio, dove si apre un tugurio di scatolette impilate di chiavi in una parete e di insegne retro' in stile Toulouse_Lautrec di serrature. In fondo, nel lato corto, largo una spanna, il fattore di chiavi con la pancia appoggiata al banco. Capisco, deve pesare in effetti.
Ho quindi la chiave di casa anch'io, sono pronta a ripetere l'esperimento di Sidar.
Il momento di separarci per oggi è arrivato. Comprato il …. Sidar mi ripete i numeri dei bus da prendere: codici pin di lettere e numeri che mi ripete in spelling alternativamente turco e inglese. Poi mi butta in un bus la cui combinazione non mi era stata impartita dicendo: scendi a Taksim. Certo è dove devo andare -penso ancora, stolta.
Trovando posto sono felice ricordando la calca istabuliana bussiade, poi finisco col cedere il posto ad una vecchina gobba col velo a fiori in testa che mi ringrazia in modo chiaro e semplice “çok tesekkur ederim bayan”. Mi accorgo di non ricordarmi come risponderle e, in un momento di inconscia vergogna, le rispondo “Bitte!”. Bene, hanno scoperto che la mia rimane una faccia che sembra turca!

Ecco il ponte, siamo vicini. Vedo un'enormità di piazza e chiedo spaventosamente “Pardon, nerede? Taksim'da?” Memorandum n.3: devo capire come si chiede scusa per chiedere l'attenzione sennò qui non mi caga nessuno quando gli parlo.
Si, sono arrivata.
Almeno nell'attraversare la strada sono proprio turca dentro, si fottano i turisti impacciati.
Allora primo obiettivo: MMO Istanbul. Sidar mi ha stampato la cartina, dovrebbero essere loro a organizzare i corsi Tomer: corsi di turco per gli stranieri la cui fama li precede e gli attestati si sprecano. Ma come?!? manca il numero civico e il puntino sulla mappa è a metà tra 2 strade. Mamma li turchi! Nessuno conosce 'sto posto, o almeno io non riesco a chiedere molto più di sconnessi Turkce okula, o Tomer. Finalmente due tipi acconsentono dicendo una parola tipo ministere, la vera natura del luogo che sto cercando è infatti una sede ministeriale.
Una serie di giovani (giovanissime oserei dire) donne affolla la reception. La più carina risponde al mio “Pardon, inglizce konusiorsunuz?” (cfr. memorandum n.3) con un “maybe..little”. Della serie, se non lo sai tu bimba chi lo deve sapere?!? Dopo 20 minuti si riesce a trovare al secondo piano (su 7) una donna, addetta agli stranieri per così dire, ma non sembra proprio capire la mia domanda. Mi risponde che no, non organizzano nessunissimo corso per noi ignoranti stranieri. Solo quando gli scrivo Tomer su un foglio capisce e mi dice che avevo sbagliato posto. Mi stampa una cartina col luogo corretto che infatti si chiama Tomer. Gentilissima si era proposta pure di chiamare il mio amico che aveva stampato apposta per me la cartina precedente.
Arrivata in 2 secondi a destinazione m'imbatto prima in un giapponese poi nel receptionista turco più brutto e insolente del mondo. Non mi dilungo per non annoiarvi ma rimando l'iscrizione e me ne vado un po' schifata a dire il vero.
Volgo verso l'altra possibilità, la Dilmer. Dopo un paio di persone che mi danno informazioni sbagliate (come facciamo noi a Firenze del resto) arrivo grazie ad un portiere vecchino. L'ambiente è molto più amichevole (“They are a private school Marianna...” come dice giustamente Sidar rivolgendosi ad un'ingenua) e anche meno caro (traslato dai francesi). Rimando l'iscrizione perchè mi voglio fidare dei forum che controllerò a casa più tardi.

Rimane da fare un po' la turista. Mi avvio verso Galatasaray. Piove. I miei calzini sono bagnati, del resto come si fa ad evitare le pozze più grandi di te.
Un çay è ciò che serve. Rigenerante. Perchè in Italia non abbiamo questa tradizione?!? Poi in quei bicchierini c'è il piacere di quei depravati che, come me, degustano il bollore del caffè in vetro. Solo che è te.

[istituto francese di cultura, mancato concerto di Hindi Zahara]

Sidar mi chiama blaterando punti d'incontro. Ma non capisco. La pioggia, nomi turchi di strade..Gli chiedo di scrivermi un messaggio e ovviamente la mia lista piena rallenta i tempi. Mi richiama e finisco i soldi. Memorandum n. 4: comprare un cellulare turco. Tocca trovare una cabina. Morale della favola eravamo a 10 metri, che telepatia ho col mio amico turco. Menomale oserei dire un'altra volta, usando quest'espressione insolente.
Quali sono quindi i piani? Conferenza sull'architettura neolitica di un sito anatolico. Così anch'io potrò capire come si sentiva lui nelle lezioni di Neolithisation a Nanterre. “Unico consiglio: dopo 10 minuti noterai un'attrazione verso il soffitto: non ti vergognare!”. Saggio Sidar.
La conferenza non è niente di meno che al Palais de France. Una chicca coloniale francese d'inizio secolo con palme e querce e baldacchini in stile liberty. La borsa va passata sul nastro e noi passiamo l'imbarco al gate, fidandoci a lasciare il passaporto. Il complesso è stupendo, invisibile dalla strada erta e irta di catapecchie grazie ad un muraglione che farebbe invidia alle cinte medievali nostrane.
La mia fortuna mi porta a conoscere un'assistente dell'università di Paris-X, parliamo un po' in francese; per non parlare delle slides della presentazione in inglese! Si parla della coesistenza di architetture sub-ovali e rettangolari nello stesso strato, il più antico, seguito da un momento di abitazione sui tetti alla çatal-huyuk ad un abbandono di certi edifici poi adibiti ad aree funzionali ma non ho capito funzionali a che cosa. Lo strato successivo sarebbe stato interessante (ma erano tante immagini e nessuna scaletta anglofona) in quanto vi erano delle sepolture con testimonianze di trapanature nel cranio nelle donne e fasciature per la manipolazione artificiale (artificiosa!) del cranio nei bimbi. Porelli!
La fame ci porta a mangiare 2 wet-hamburger, boni ahò!
Presto siamo a casa, preparo la mia camera finalmente sgombra e con Sidar ci godiamo una meritata sigaretta. Provo a iniziare a studiare turco. (<-- vedi mise 1)

Due chiacchere improbabili su skype con Alye, la sorella di Sidar, danno inizio alla mia serata di relax. Non prima di esser presa per i fondelli per la mia simpatica frase “don't warry if you can't speak english, we'll speak turkish when i'll finish my turkish course in 1 month” da lei, a sua volta presa per i'culo dalla ragazza di Sidar, nonché coinquilina di Alye, per il suo “I don't speak english but I can understand”. Mentirosa!