Cerca nel blog

lunedì 22 novembre 2010

L'onestà sull'autobus (14/11/2010)


Martedì salgo di fretta sull'autobus e, dato che sono in ritardo, è l'ora di punta. Quasi non si respira e molti sono costretti a entrare dalle porte posteriori. L'unico modo di pagare la corsa è però passare dal conducente. “Viaggio gratis” ho pensato rintanandomi nel mio Ipod. Poco dopo mi arriva in mano un mazzo di chiavi, poi un altro, con tanto di portachiavi con un ciondolo che ritrae la faccia di Ataturk, poi un abbonamento. E' un passaggio continuo per saldare i conti con l'azienda di trasporti turchi. Arriva anche una banconota da 5 Lire e, poco dopo, il resto. Inevitabile per un'italiana stupirsi di questa correttezza, così spontanea.

Siamo di nuovo sui banchi, ansiosi di apprendere il più possibile quando sento raccontare la stessa storia del bus anche da Anne, basita da questa civiltà, così contraddittoria.

La lezione è presto finita e con i biondi mi accingo a prendere il traghetto per Kadikoy. All'entrata, la storia si ripete. Nonostante ci sia il cancello spalancato, nessuno indugia scegliendo i tornelli. Ancora una volta siamo a bocca aperta.

Ci sediamo a gustare un ricco ed economico piatto di riso e scorgiamo da lontano la nostra compagna di corso australiana. La chiamiamo più volte, finalmente capisce e ci raggiunge, contenta di trovare per caso delle facce note in una città che non è la sua.
Andiamo alla ricerca del grande mercato del Martedì, passando per un toro, finto, ma dopo varie sconnesse conversazioni in turco capiamo che la nostra amata Lonely planet ci aveva fornito informazioni sbagliate: il mercato chiude alle 14.
Ci meritiamo quindi un te, in un carinissimo giardino con libreria annessa.

Il 10 Novembre alle 9.10 esatte sono in piazza Taksim. Parte una sirena anti-bomba e i poliziotti e le ambulanze accendono anche le loro sirene. Il frastuono si confonde con il silenzio della gente, che, fermata alla buona la macchina, scende e si immobilizza, come del resto i semafori, bloccati. 



La scena sembra appartenere ad un altro tempo. Solo io e Anne e qualche fotografo spostiamo un po' d'aria cercando di immortalare questo momento. E' un omaggio ad Ataturk, per l'anniversario dalla sua morte.



Il suono della sirena si dipana gradualmente nella piazza e la vita riprende, come se nulla fosse successo.

Kurstan sonra (dopo il corso), festeggiamo il compleanno di Dora, la ragazza greca con cui andrò in Cappadocia, spartendoci un misero pezzo di torta che comunque non riusciamo a finire.
Mi accingo a cercare un cellulare, dato che la scheda nei telefoni non turchi funziona solo per 2 settimane, ma i prezzi sono esorbitanti, se escludiamo un Blackberry usato per 50 LT, che rifiuto con garbo.

Con me rimane solo Mohannad, il cui piccolo universo è confinato a piazza Taksim, tant'è che non ha ancora visto la Torre di Galata. Non riesco a rinunciare a fargli fare un veloce giro, il suo mondo ha bisogno di uno spazio più ampio per sopravvivere -credo. La bandiera turca sventola a mezz'asta per la morte del suo eroe.



La sera arriva presto e così il mio impegno all'istituto italiano di cultura. Proiettano “La pecora nera” e Ascanio Celestini è presente per rispondere alle curiosità e alle pretenziose domande che gli pongono certi giovani intellettuali 'per forza'. Mi rammarico quando sento la maggiore presuntuosità in un ragazzo di Firenze.
La buona dose agro-dolce di cultura italiana mi fa dormire sonni profondi.


Il giovedì e il venerdì sono invece i giorni dei rapporti 'amicali'.

La nostra entusiasta, principalmente per le sue scelte e le sue proprie battute, insegnante ci porta un giorno a pranzo a mangiare un costoso kebap, dove qualcuno viene intimidito dal piatto comune ma non ritrae certo la manina. Ci muoviamo in taksi perché il bus è “faticoso e scomodo”, quindi ce ne servono tre. Nonostante sia quella che ha mangiato più di tutti, mi merito il doggy-bag, in quanto sono quella che abita più vicina. Al ritorno a casa mi seguono i biondi, stuzzicati dalla proposta di caffè italiano. A casa troviamo un'altra strana presenza, l'ex-coinquilino di Ombra che, avendo ancora la chiave, viene qui per lavorare al computer indisturbato: cioè, se non fossimo arrivati noi. Ora purtroppo Pietro (gli ho dato il primo nome passatomi per la testa, quello vero l'ho dimenticato) non parla una parola di inglese. Abbiamo comunque intavolato una discussione che verteva sull'economia turca, anche se tuttora non ne sono poi così convinta che quello fosse davvero il tema della conversazione.
Il giorno successivo ci godiamo metà mattinata di lezione (o forse è meglio dire non-lezione, seppur pagata a caro prezzo) sul mare, per la colazione. Meltem passa a comprare il formaggio al supermercato, ci fermiamo per accaparrarci qualche simit e ci sediamo al tavolo ordinando un semplice te. La frutta ce l'hanno le donnone della classe. Il cameriere non fa una piega: lesto ci porta piattini e coltelli per spartirci il nostro cibo. Immagino la stessa scena a Firenze, dove farsi vedere per anche un secondo bere alla propria bottiglia dell'acqua in un locale significherebbe fare la figura del poveraccio e invoglierebbe la cameriera a ricordarci “La consumazione al tavolo è obbligatoria e l'acqua non è considerata come tale!”.
Da donne forti quali siamo, con Anne ci dirigiamo al Gran Bazar, a dir poco deludente. A salvar il pomeriggio solo un vecchietto con un solo dente che conosceva un paio di frasi per ogni lingua esistente, da cui compriamo davvero a poco e che ci regala i due kalem più pesanti e kitsch della storia del mondo. Ovviamente apprezziamo il pensiero.
Anche un bimbetto attira la nostra attenzione: si sta prendendo cura di un gattino pulcioso. 


Il venerdì sera è offuscato. Birra, cerveza, bier, beer, bira: çok bira içtim. Più o meno è quello che ricordo. Il 'più' corrisponde sicuramente ai battibecchi tra il biondo e Ombra: sembrano volersi sbranare da un momento all'altro.

Ora scrivo a lume di candela, non perché scelga di vivere una serata romantica, ma perché la corrente è saltata 8 ore fa e ancora tarda a tornare, lasciandoci esclusi dal mondo virtuale di mail, social network e news on line. La lavatrice monopolizza i miei panni ancora mezzi sporchi e mezzi umidi. Ho dovuto comprare qualcosa da mettere in valigia.

Comunicazioni di servizio

Mi faccio viva un attimo, chiedo venia per l'assenteismo.
Sto trascrivendo i miei appunti in formato digitale: in questa settimana di vacanza, Bayram, mi sono volutamente staccata da internet per vedere l'effetto che fa.


Per maggiori informazioni sulla festività religiosa clicca qui.

martedì 9 novembre 2010

Pronomi, sostantivi e verbi

Questa volta ho solo parole nel mio sacco per raccontare di un fine-settimana di tipica vita turca a Istanbul.

La sbornia del venerdì si fa sentire durante la mattinata, e per alcuni per tutto il giorno. La sveglia suona ricordandomi la mia promessa fatta a Ombra, di preparargli il pranzo per quando avrebbe avuto la pausa dal lavoro. La bionda e il silenzioso amico dormono sogni tranquilli mentre io con ancora il sapore di caffè in bocca mi arrabatto a preparare peperoni, zucchine e uova. L'odore arriva fino in camera, disgustoso per chi si è appena svegliato dopo poche ore di sonno e tanta birra alle spalle.
All'arrivo di Ombra la famiglia si riunisce nel salotto.
L'invito di Ombra sembra la cosa più appropriata da fare in questo sabato comatoso, e anche l'unica.

Dopo esserci vestite, io e Anne ci avviamo quindi allo scavo dove lavora il mio coinquilino. Uno scasso enorme, profondo 8 metri che si estende per chissà quanto. Ombra ci mostra prima la pianta: i quadrati, impossibili a contarli, sono di 50x50 metri. Ci affacciamo da una indegna balaustra e ci appare sulla sinistra il porto di Bisanzio, mentre sulla destra un terreno così nero che sembra un frullato di pneumatici, anche per la consistenza: quel nero ha 6000 anni più o meno, ma portati davvero bene. Anne è tra l'incredulo e l'incomprensione, è la prima occasione che ha di veder concretizzata quella così astratta parola archeologia. Ombra ci porta a prendere un te (si, hanno una caffetteria dentro allo scavo) perché da qui si riesce a vedere tutto lo scavo, dall'altezza delle nostre panche con i cuscini di velluto. A lavoro ci sono solo gli operai: alcuni scarrozzano carrette, altri spicconano con fin troppa enfasi, altri ancora invece guardano verso la Mecca, inginocchiati. Ma gli archeologi? A guardare video su Youtube in una delle baracche dove, almeno, ci mostrano aghi, spatole e quant'altro in legno provenienti dagli strati neolitici. Dato che non abbiamo paura di sporcarci Ombra è contento di portarci nel vivo dell'azione. Il livello nero è davvero incredibile sembra gomma e vernice nera allo stato puro. Anche il molo di Bisanzio ha il suo perché. Ovunque miliardi di cassette di ceramica e ossa impilate all'inverosimile formano stretti corridoi dove altri 'studiosi' si nascondono per ritardare il rientro a lavoro.
Stare qui mi risveglia un brivido che da un po' di tempo a questa parte stavo dimenticando, o forse stavo cercando di ignorare. Stavolta la rabbia non si manifesta (nonostante ci siano ragioni valide). Un brivido che mi pervade e che è suscitato dalla mia curiosità, dalla voglia di sapere, dalla volontà di stare a contatto con la terra e di sentirmi davvero partecipe di questo mondo.
Nella mia testa suona una musichetta.


Credo che la mia corazza si stia facendo yavaş yavaş più dura.


Ombra si palesa con l'ennesimo invito. Che dire?!? E' sabato sera, se si è invitati non si può fare a meno di uscire! Dopo un paio di birre e varie chiacchere, in cui includo qualche ravvisaglia di lezione di turco, raggiungiamo i ricconi dei nostri amici. Almeno, due di loro sono anche miei conoscenti, dato che ci siamo tutti incontrati in Erasmus a Parigi. Sono riusciti a scovare il bar più caro di tutta la città, con le casse sparate verso i poveri clienti. Son riusciti a farmi venire la voglia di tornare a casa.

La domenica è stato il giorno dello shopping. Meta: Ikea. Solitamente evito questi posti, specialmente nei giorni festivi, ma volevo rendere abitabile la mia camera almeno, e in questi posti è molto meglio per riuscire a capire i prezzi e far spese 'casalinghe'.
Raggiungiamo il Forum Istanbul con la metro e subito capiamo quanto questa idea non sia stata poi così felice. Çok kalabalik (leggi, c'è un cicciaio di gente)!
Il tempo stringe, mi avvio a casa, non prima di aver istruito Suzi e il suo ragazzo su dove prendere il bus.
La sera si presentano a casa altri due amici di Ombra che, pazienti, mi indirizzano qualche semplice domanda in turco. Dato che uno di loro era con noi a Parigi e ha studiato quattro mesi il francese, si stupisce quando capisco qualcosa e si scoraggia sempre di più senza ragione.

Ieri al corso di turco abbiamo parlato un po' delle nostre carriere universitarie. Mi sono stupita di condividere gli stessi sentimenti occlusivi sia col crucco arrampicatore (non sociale, eh) che con Miss Doc. Who, entrambi schifati dalle dinamiche universitarie, fuggiti dal Phd. Credo però che coloro che capiscono questa sensazione riescano a voltare pagina, vivendo e non subendo tutte le figure retoriche di cui è fatta la nostra vita. Questa classe rivela sempre più sorprese. Probabilmente la volontà di imparare una lingua come il turco porta ad un legame molto più profondo di quello che si crea imparando una delle nostre lingue europee.
Domani impareremo le forme al passato. 
Ci gireremo per guardarci alle spalle e saranno dolori.

sabato 6 novembre 2010

Türkce zor bir dil (Il Turco è una lingua difficile)

Il tempo di studiare è arrivato.
L'aula del corso per principianti è già piena mentre io e una rotonda signora tedesca cerchiamo un posto tra i banchi. La fauna è abbastanza interessante: la maggioranza è di origine tedesca (includiamo qui anche il buon austriaco) ma non manca una scultrice greca, una cuoca australiana, una compagna di viaggio del Doctor Who e due libanesi. Difficile a credere, sono l'unica italiana. L'öğretmen è una tipa arzilla con un io sovra-sviluppato che ci sbatte contro la sua simpatia. Il tutto in inglese.
Il livello generale della classe non è così tremendo, ma nutro forti dubbi sulle scelte di approccio, così poco comunicativo, dell'insegnante.

Le lezioni passano velocemente non c'è che dire, ma servirà arrivare a venerdì per imparare ad usare i verbi, al presente ovviamente. Mi impegno ogni giorno nei miei ev ödevi che costantemente Ombra mi controlla, criticando ogni frase scritta con tanta diligenza sul mio quadernino.
A pranzo approfitto due volte della pausa di Suzi per scambiare due ciane tra ragazze. 

I pomeriggi invece mi divido tra lo studio e il turismo, da sola o con una futura maestra bionda, tedesca. Con lei non è possibile passare inosservati, così passeggiamo inciampando su molti turchi che sbavano per questa carne così esotica, arrivando a passare il Ponte di Galata. (mise 12)


Al calar della sera torno a piedi, voglio godermi l'acquedotto sentendo il suolo sotto i miei piedi invece che l'autobus per una volta.(mise 13)


Giovedì sbircio dall'alto lo stadio. (mise 14)


La sera del venerdì non riusciamo a rinunciare ad uscire: ci facciamo strada tra le vie laterali di Galatasaray, scrutando i prezzi dei vari bar, temendo per i nostri portafogli, quasi fossimo a Oslo.
Le ore passano così in fretta che solo la telefonata di Ombra ci riporta alla realtà: “Marianna, where are you? Call me when you'll find the way to come back home”. E già, l'ora del bus è scaduta. “So sweet friend”, commenta la bionda.
Ci avventuriamo in un taxi il cui conducente risponde al comune stereotipo del chiaccherone. Peccato ci parli in turco. Arranchiamo a capire le sue domande: ci sta chiedendo se parliamo turco e da dove veniamo. Con 10 oneste Lire turche ci lascia a 2 metri da casa.
Scendiamo dal taxi, svincolando tra le donnine che sembrano uscite da Berlino est e i vari vucumprà nativi.
Le chiacchere termineranno solo alle 4 am, dopo aver sentito la storia della vita di Ombra e il silenzio del suo amico.
Anche Anne ha la palpebra pesante. Si, si chiama Anne. Se a Istanbul non può fare a meno di attirare i curiosi, così fin dalla Germania è abituata a sentirsi chiamare dai bambini turchi al supermercato, per poi rendersi conto che non è la loro Anne (mamma, in turco).

martedì 2 novembre 2010

Ladra d'immagini

Per ora prendo le parole di Cotone (leggi Pamuk). Dicono tutto quello che vorrei dire. 


"Tutto attorno c'è molto rumore, e cemento, dappertutto. Ma i cambiamenti di superficie non significano niente: a conoscerla davvero, questa è la Costantinopoli di sempre. Il suo fascino è intatto.
Orhan Pamuk 

lunedì 1 novembre 2010

The day after (1/11/2010)

La sveglia suona ma non ho molta voglia di alzarmi. Mi lascio coccolare un po' dal tepore delle coperte, sono in astinenza di calore umano. Mi tocca. C'è da pulire il bagno prima di uscire: i resti di barba di Ombra per terra e gli schizzi di fard nel lavandino di Fossette non si toglieranno di mezzo da soli, a meno che non sia a conoscenza di altre stranezze turche.

Oggi è il giorno del test, si decide il livello della mia competenza della lingua turca. L'esito sarà scontato: zero. Per raggiungere la scuola scendo, per forza, dal bus in Piazza Taksim. Non so se sia suggestione ma c'è un gran puzzo di bruciato qui intorno. A ricordarci dell'avvenuto poche candele e qualche foglio colorato. Del resto, i poliziotti non sono molto amati qui.

Il sole è spavaldo oggi, tanto che mi costringe a levarmi la giacca. Mi spingo fino alla torre di Galata, osservando i negozi di strumenti musicali. Trovo posto sull'unica panchina irradiata di luce, quasi che i turisti ne siano allergici e ascolto la parlata bolognese dei miei vicini di seduta. Non male ascoltare questa musica ogni tanto.
Una ripida discesa di negozi di lampadine mi porta al mare, suggerendomi il Ponte di Galata. Io non lo passo però: resto ad osservare i balikcilar (pescatori) tutti intenti ad arraffare qualche pesce. (mise 9)


Nei miei giri pesca arrivo in un altro dei mitici quartieri tematici di Istanbul: in vetrina ogni tipo di arnese per lavorare i metalli e in più trapani, chiavi inglesi, viti, dadi. Si spiega la prevalenza maschile del circondario. Faccio dietro-front, inciampo di nuovo nel traffico cittadino e mi arrampico nuovamente per le chilometriche scalinate, arrivando in cima col fiatone. (mise 10)


Si fa più fresco con il sole che fa “Gule Gule”. Mi siedo in un bar e ordino un te dopo l'altro, mentre cerco di trarre profitto dal metodo Assimil: non so se è stata una scelta oculata, visto che non c'era in italiano. Cerco di imparare il turco con un testo francese, bah. (mise 11)


Arrivano le 18.15 in un baleno. E' tempo di andare all'Istituto italiano di cultura di Istanbul. Conferenza con Vincenzo Cerami, tra le altre cose sceneggiatore de “La vita è bella”. Masterpiece rimane comunque il suo borghese piccolo piccolo. Il dibattito è scorrevole, anche se il tema sarebbe potuto sembrare esageratamente intellettualoide: “Scienza e coscienza della letteratura”. Non manca qualche scivolata riguardo alla prima forma d'arte che ci porta ad individuare i primi veri uomini nel Pleistocene, dopo le bestie, quegli ominidi...
Non capisco perchè tutti si vogliano sporcare la bocca con ciò che ignorano, anche quando sono dei grandi conoscitori delle più disparate discipline!


A casa trovo il mio carissimo Ombra, che mi racconta della sua giornata di lavoro. E' andato in un altro scavo di emergenza, dove i muri neolitici sono quasi impercettibili, perchè, mi dice, “There aren't made by stones or brik”. Dilemma archeologico turco: hanno così tanta roba che non riescono a distinguere i “segni”, così labili, dell'uomo preistorico, se non sono in muratura!!!
Quasi me lo figuro a scavare a Sesto Fiorentino che mi si rivolge e dice: “Marianna, what fu**ing excavation is that?”.
A chi troppo e a chi nulla.