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domenica 27 novembre 2011

Io panso siempre


Ebbene si, sono tornata nella mia propria casa.
Sono sei mesi che sono tornata. 
Ho ammirato le vie del centro, sono tornata agli Uffizi e sono andata a visitare gli appartamenti reali a Palazzo Pitti la sera, quando è gratis.
Questo è lo stesso tempo che ho passato con Potere, Ombra e Angeliki, solo che eravamo a Santa Sofia a Taksim e sul Borforo. Loro sono rimasti lì ed io sono qui. Altri però mi hanno raggiunto qui. In realtà non hanno raggiunto proprio me, non vorrei passar da egoista per carità, però in qualche modo i piccoli maliani si sono trovati sulla mia strada. 
Ed io sulla loro.


















Martedì scorso arrivo a scuola e do ai miei bimbi tre piccoli pezzi di carta ciascuno. Chiedo loro di scrivere tre problemi. Al momento di scoprire il contenuto di questi piccoli foglietti, riempiti di cancellature e correzioni, Messi ride. Lo guardo, con i suoi mini rasta e la maglietta del Napoli. Ha lasciato 2 gemelli in Mali e quando ne parla ha sempre un luccichio nello sguardo. Ha 22 anni. A volte sembra che lui sia altrove. Serve richiamarlo più volte per avere la sua attenzione.
Prende in mano uno dei suoi 'problemi' e me lo porge. 
Lo guardo, ancora, e lui mi mostra tutti i suoi denti bianchi. "E' un grande problema, io panso siempre, non ho tempo per il resto" - dice lui.
Eppure non vedo dove effettivamente sia il problema di pensare continuamente. Dovrebbe essere un vantaggio anzi.
Oggi invece Messi mi dice che saluta le ragazze italiane da lontano. Baba ride. Anche gli altri si uniscono. "Ha paura" - si sente tra i banchi. Continuando a riflettere non so effettivamente cosa pensare. Messi si accorge della mia perplessità.
"I ragazzi italiani sono pazzi eh! Se io do bacio a ragazza poi lui puuuuum, pistola eh!"

Nel frattempo l'unica vera bimba, solo per età purtroppo, disegna e scrive parole italiane a caso. Mi regala disegni col mio nome e il suo: Marianna - Mahjabin. Poco dopo arriva il padre, che sarebbe dovuto essere a scuola anche lui ma ha sempre qualcosa di più importante da fare che imparare l'italiano. La noveenne indianina lascia i fogli sul tavolo: uno è cosparso di solo due lettere a formare solo un nome...ba-ba, ba-ba, ba-ba (1)... Un dolcissimo amore platonico verso il suo grande e grosso compagno di giochi.

Alla fine della lezione anch'io ricevo il mio pizzetto, da parte di Cantante e dice più o meno così:
Muoi ausi ge t'aimer.
Mentre cerco di interpretare le sue zampe di gallina, spremendomi le meningi, do ragione a Messi. Anche perchè non si riesce mai a pensare a tutto. Come quando un altro dei bimbi maliani, facendo qualche esercizio di lettura legge lavagna la-va-gi-na....
Questo è quello che si dice un errore intelligente, in fondo nessuno gli aveva insegnato il suono "gn", cosa che ho appreso a mie spese...

"Mio problema io panso siempre" ma non è mai abbastanza. 
Bravo Messi. 10+.





1. E pensare che in molte lingue Baba vuol dire papà!





martedì 3 maggio 2011

C'è un turco, una greca ed un'italiana...


Ce l'ha un marito?” mi chiede di punto in bianco il diciassettenne Lucky.
Io mi giro a destra, a sinistra ma non vedo nessuno. Quindi ce l'ha proprio con me. La sua domanda suona come il verso di un'oca, e vi assicuro che l'eco c'era. Non è colpa sua, è l'indonesiano che suona proprio così, ormai ci sto facendo l'orecchio e inizio a capirli.. quando parlano turco ovviamente.
Mi faccio comunque ripetere la domanda. Io rispondo che sono ancora giovane, non per forza si deve pensare che io sia sposata. Un altro papero mi sostiene – è troppo presto!- dice Ogky. Grazie. Piuttosto, ma che nomi hanno questi brutti anatroccoli?
Nello scorso post ho gridato sole ed ora, guardando dalla mia finestra vedo solo grigio. La caldaia ogni tanto mi fa saltare sulla sedia, ormai mi immagino di avere lunghe e profonde conversazioni con lei, in fondo siamo compagne di stanza.
D'altro canto a casa c'è una atmosfera calorosa. Mi sembra davvero di vivere con un fratello ed una sorella.

Quindi, facendo il punto della situazione...
Il sillogismo va da sé.

Ecco come sono andate le cose. 

Angeliki mi ha portato pure il maiale. Nessun doppio senso. A volte non si realizza quanto ci possano mancare certe cose fino a quando non le si possono avere. Questo è un po' il caso del maiale a Istanbul. Quasi mi commuovo mentre lo azzanniamo con le mani untissime. Potere ci guarda perplesso. Poi ripensandoci, gli siamo piaciute così, senza troppi fronzoli a sbranare come cavernicole. Finito il lauto pasto, non so come, ci siamo agitati e siamo finiti per ridere tutta la sera. Credo sia l'energia di Angeliki che sia davvero contagiosa.

Un turco, una greca ed un'italiana. Sembra quasi l'inizio di una barzelletta. Forse lo è davvero.

martedì 26 aprile 2011

Istanbul'da Aşk. Amore ad Istanbul.


Pochi film e sono già esausta. Questo è l'Istanbul Film Festival e pensare che io mi sono vista solo quattro film. La gente impazzita fa maratone anche da quattro film a giornata. A me non riescono a entrare così tante informazioni cinematografiche in così poco tempo. Mi faccio sopraffare, specialmente se quello che vedo mi fa pensare e, se così non fosse, non ne varrebbe nemmeno la pena.

Prima scena da dimenticare per una che ha la famosa fobia che ho io.
Non che il seguito sia stato così facile da digerire. Una metafora della vita valida ancora oggi: uomini e donne, stipati in anguste celle che vendono se stessi o si vendono a vicenda per un pezzo di pane, una scopata, una sigaretta. Cos'è che ci fa ricordare di essere umani? Cos'è davvero che ci fa distinguere dagli animali? A volte penso che i veri animali siamo noi, infognati nei nostri pensieri malsani e il nostro aspetto da difendere.

La 'bellissima' scenografia.

Immaginate il film più brutto che possiate vedere. Moltiplicatelo per n volte e ancora non siete nemmeno lontanamente vicini. Eppure il titolo prometteva bene. Quando chiedo a Potere se vuole accompagnarmi gli dico: “Are you interested in 'Istanbul'da aşk'?”
Mi risponde con un sorrisetto: “E chi non è interessato?!? é una vita che lo cerco!”.
Peccato che non trovo nessuno spunto nel cinema dove la cosa più interessante sono i disegni sul muro, sembra di stare nel teatrino di Mangiafuoco.
Potere continua a cercarlo l'amore ad Istanbul ma ancora pare non avere successo. Si poggia su un fiore e poi su un altro, senza tregua. C'è una sfilza intera di ragazze con lo stesso nome, poi la bionda anoressica e la femminista figlia di papà. Non m'importa niente della bellezza -dice- voglio solo trovare l'amore.
E in questa città gli spunti sarebbero tanti: le margherite nel pratino del sultano, la luce fioca del tramonto vista dalle sponde asiatiche, brindare con una Efez fresca dopo le salite di Büyükada (la grande isola), il suono del Bağlama...
Ora è arrivato anche il sole a riscaldare i cuori. Anche a me viene più voglia di sorridere, anche a pensare quanti bellissimi tipi di amore ci sono. Ho trovato un fratello qui, che mi consola quando sono triste e mi insegna i balli curdi per strapparmi un sorriso. Spero che Potere trovi la sua margherita, quanto se la meriterebbe.
Penso alle sorelle che ho a casa che mi fanno commuovere ogni volta e che a volte si incontrano anche per caso, immagino le espressioni felici della Bionda e della Strega a bersi spensierate un bicerin a Torino.
Penso a quanto è bello andar via per poter tornare.
Ciò non toglie che quando si resta a casa non si vede l'ora di fuggire e cambiar aria.
Straniera all'estero, straniera in casa propria.
Floransa'da aşk potrebbe essere un miglior film?


L'amaro in bocca non tarda a tornare. Col gruppo di conversazione in italiano andiamo a vedere Draquila. Sabina Guzzanti è presente. Alla fine del documentario viene voglia di dimenticare ciò che si è appena visto ma purtroppo non serve a niente. Come non serve a niente scappare. Un intellettualoide italiano mi sente e subito mi aggredisce e con la bocca storta mi dice: “Scappare?!? Bellina, io son venuto qui a lavorare!” In effetti, lavorare in Turchia per un italiano è abbastanza facile, ma sembra un po' un controsenso abbandonare le ingiustizie della terra natia per fregarsene anche di quelle, da certi punti di vista anche peggiori, turche.
Ormai gli italiani all'estero sono diventati ancora di più una barzelletta di quelli che restano.
Una sera vado a mangiare in un localetto tranquillo e, con mia grande disapprovazione, inciampo in uno squallido piano bar di un napoletano. Non so ancora decidere se il peggio in questa situazione sia lui con la sua scelta di pessime canzoni rappresentanti l'Italia dal suo punto di vista o una cicciona impicciona, anche lei campana, che commenta “Eh, un po' di campanilismo ci vuole ogni tanto!”.
Andiamo via schifati. Comunico il mio disappunto alla cameriera che mi chiede di dove siamo. Italiani! -dico io- ma qui d'Italia non c'è nulla!

venerdì 1 aprile 2011

Güneş. Il sole.

E' arrivata la primavera tanto agognata. Così dice il calendario, non il tempo. L'aria soporifera però già si respira, insieme a tutte le buone intenzioni o, almeno, quelle di fare un buon pisolino pomeridiano.
Questa settimana è stata un susseguirsi di conferenze di archeologi italiani che mi hanno riportato in una dimensione parallela. Il mio amico dottorando croato si trova in gravi difficoltà tra i relatori che parlano in italiano e la traduzione simultanea turca. Non da meno gli incontri all'IFEA che si sprecano tra francese e turco. Per la prima volta sono fortunata ad esser un'italiana che ha fatto l'Erasmus in Francia.
Ancora in tema di conferenze la più curiosa, per esser gentili, è quella tenuta da uno schizzato quarantenne inglese, illustratore archeologico, che ci presenta le sue opere piene di pathos di ricostruzioni di accampamenti e scene di caccia mesolitici, conventi medievali e un sorridente faraone di colore.
K.Wilson. Scena di caccia mesolitica.
Il suo colloquiare è zeppo di enfasi e battute, non comprese completamente dai suoi spettatori turchi e la sua lecture scorre veloce anche se non senza perplessità. Una punta d'arroganza da prendere in considerazione.
Il lavoro comincia ad ingranare, dopo non poche incomprensioni: mi ritrovo quindi ad incontrare Vakif, un urbanista. Chiedo al mio compagno di lavoro, Yasin, come possa riconoscerlo. Lui mi risponde che è molto facile perché “He's the orange one!”. Infatti in un secondo lo identifico: lunghi rasta rossi e un maglione arancione peruviano. Una rarità turca. Un fricchettone rosso che parla fluentemente inglese e francese. Nella pausa pranzo mi lancio nella caffetteria dell'università e in un attacco di fame mi ritrovo in una mano un hamburger e nell'altra un panino con crocchette di pollo e patatine. Non mi è venuto in mente che, con le mani così occupate non è così facile mettere ketchup e maionese. Dopo una giostra di scambi di mano e equilibri decido di ingurgitare il primo e farcire abbondantemente il secondo. Scopro con vergogna che l'urbanista sta osservando la scena, sorridendo. Così mi sono conquistata la sua simpatia e dopo la conferenza all'Istituto di Cultura Italiana andiamo a prenderci una birra insieme al croato. Quest'ultimo finisce col dirmi che, per essere italiana, sono abbastanza cool. Non mi resta che riflettere su questa affermazione. Mi accendo una sigaretta con l'accendino che avevo lasciato a Izmir a Novembre e che Erdan, che mi ospitò in casa sua, mi ha diligentemente riportato nella sua capatina a Istanbul di due ore. Siamo a Marzo, penso. Strani questi turchi. O saranno così solo gli amici di Ombra?

Un pomeriggio di riconciliazione, Ombra mi racconta quanto lui stesso non sia un tipico turco, a modo suo. L'aneddoto ha luogo davanti alla Residenza Universitaria di Nanterre, Parigi, dove Ombra incontra a caso una sua amica turca a cui aveva promesso un CD. Nel porgerglielo, l'altro amico turco inizia a fare battutine alla quartordicenne, scrutando nei minimi particolari il nostro caro Ombra. Al che il simpaticone nota qualcosa sul collo di Ombra e subito si informa: “Passata bene la serata eh? Chi te l'ha fatto questo succhiotto?”. Ombra ci mette un po' a capire. Allora mi fa vedere il collo e mi chiede se avevo mai visto quella macchia. A malapena ora, perché me lo ha fatto notare, scopro una piccola voglia sul collo. Niente di che. Ombra si congratula con l'altro per la sua prontezza di spirito e se ne va boffocchiando.

Foto O. Kozan, Ballando al Newroz.
L'arrivo della primavera mi porta sonnolenza e confusione e appunto tutto ciò viene riflesso nel mio post di oggi.
Da menzionare la celebrazione dell'arrivo della primavera (quest'anno Domenica 20 Marzo) in Turchia, meglio nota come Newroz. L'argomento è abbastanza delicato in quanto l'origine di questa festa è molto antica e prende spunto da leggende e storie popolari radicate nella società da secoli. E' Potere che mi racconta la storia lontana di questa celebrazione. Dedicherò uno spazio solo per questa storia, affinché non venga nascosta dalla mia vena prolissa di oggi.
Ora mi soffermo sul lato problematico dell'evento. Il primo avviso l'ho avuto quando ho chiesto ad un gruppetto di amici turchi se domenica sarebbero venuti anche loro al Newroz. Il loro sguardo mi dice tutto. All'inizio penso che siano degli integralisti nazionalisti contrari alle manifestazione delle altre minoranze etniche. Poi, yavaş yavaş (mano a mano) capisco che come tutte le cose, all'inizio spensierate e naturali, la contaminazione politicizzante é ormai un passo obbligato. Ormai siamo agli estremi sia dalla parte di un governo che fino al 2000 vietava tale celebrazione sia dal lato di chi, senza entrar nei particolari spinosi, strumentalizza la “festa del nuovo giorno” con un'azione politica al di sopra delle righe.
Per chi è pratico di Couchsurfing consiglio di andare a spulciare la discussione sollevata da un'altra straniera come me a Istanbul sul fatto di partecipare al Newroz:

Il mio commento? Io sono andata e ho visto sorrisi, tanti piedi danzanti e mani al ritmo della musica. Intorno stavano grandi fuochi, con fumo e cenere da far venir le lacrime agli occhi, sfidati da bambini e adulti, che saltavano da un lato all'altro dei falò. 
Foto O. Kozan. Istanbul, Newroz 2011

Ho sentito i fumi delle grigliate ancora più alti e il vento che li spingeva verso le antiche mura della città. Le scarpe coperte di fango ed i colori della gente. La folla paziente nel dileguarsi, nonostante il passo da lumaca e le buone 3 ore per arrivare alla fermata dell'autobus.



Altra notizia importante è l'arrivo del mio permesso di soggiorno. Pronto da perdere, tanto lo so. 
Nella lunghissima fila di 3 o 4 ore non mi ricordo, nonostante l'appuntamento preso, ho conosciuto una figura molto interessante: un curdo siriano che non tornerà più a casa e che studia all'Università a Istanbul l'unica cosa che poteva fare dato il suo scarso punteggio, Lingua e Letteratura Latina, dato che nessuno ci si iscrive. Peggio di preistoria, incredibile.



Quindi è arrivato il finto güneş, per poi rintanarsi nuovamente sotto le coperte. Un po' credo comunque di averlo ritrovato: nelle nuove parole che imparo, in turco e in spagnolo, negli occhi degli amici vogliosi di nuove parole, in italiano, negli errori che facciamo e nelle soddisfazioni che ci prendiamo.
Poi un concerto d'intesa turco-spagnola. Ascolta il gruppo turco, i Bandista!

Sono andata col gruppo di turchi che studiano lo spagnolo. Una ragazza mi ha chiesto dove fossero gli altri e non sapendo risponder in spagnolo ho dovuto usare vergognosamente il turco. Merdivende! (Per le scale!).

Avevo finito l'olio di girasole e, guardando l'etichetta, non c'è traccia di güneş. In Turchia, per questo fiore, sembra che decida la luna.

domenica 6 marzo 2011

Kardesler *



Inizio lentamente a studiare, ma non ancora a lavorare. Di solito, per andare al corso di turco, entravo nel dipartimento di lingue dall'entrata principale. Questa settimana ho trovato una scorciatoia, passando dal retro. Nella brina mattutina, attraverso strade semi deserte con entrate di parcheggi da un lato e dall'altro locande dismesse con sedie ricavate da ceste di frutta e signori barbuti seduti in bilico su di esse. Poi arrivo all'entrata secondaria all'università, una cancellata arrugginita. Per arrivare al mio block devo passare dal cortile. Una stesa di cemento in salita con biciclette malmesse e scale di legno a pioli come se piovessero. Alla fine della salita un rudere di mattoncini rossi spunta in mezzo a sterpaglie e arbusti secchi. Sembra un edificio romano. Buttato lì, quasi a dar fastidio. 
Sento dei versi strani e presto vedo affacciarsi da dietro questa strana costruzione un gruppetto di galli ruspanti. Ci sono anche le loro mogli. Pochi metri più in là qualche studente addormentato fuma una sigaretta prima dell'inizio della lezione.


Eppure dall'esterno l'università vuole apparire così. Mi piace di più la dimensione pollo.



In classe speravo di fare qualche conoscenza. Invece sono tutti un po' piccoli per passar insieme qualche serata, in particolare ora che in Turchia è passata una nuova legge: niente alcool nei bar ai minori di 24 anni. Non possono bere ma per andar al confine per il servizio militare non c'è problema.
Ritornando ai miei compagni del corso di turco... Entro in classe e vedo tante piccole figurine. Sei diciottenni indonesiani, due georgiani e un afgano. Sono l'unica europea e nessuno parla una lingua a me nota, escludendo il turco che ancora per me è un concetto più astratto che altro. Gentilmente ci presentiamo e li lascio di stucco comunicandogli la mia età. Per loro sono un pezzo antico e non solo per quello che studio.
Cortesemente mi dicono che sembro più giovane. Nonostante vogliano cercare di farmi un complimento non sono poi così sicura della mia reazione.

Il venerdì e il sabato sera non riesco a esimermi dall' uscire e dar sfogo alle mie dubbie capacità di ballerina. Una sera, al solito Ritim pub incontro un simpatico americano. Mi racconta del suo pacco da turista al Cairo: ben tre papiri con scritto i nomi dei suoi genitori e il suo in geroglifico, 'originali' ovviamente. Alla modica cifra di cento dollaroni. Accortosi miracolosamente del misfatto, è corso alla polizia turistica e si è fatto restituire i verdoni.
Con l'aria soddisfatta ci dice: - In più mi sono potuto tenere i papiri!-
Un'altra sera mi ritrovo ad un concerto di musica tradizionale greca a ballare con donnone attiche ed un arzillissimo sessantenne turco amante della cultura greca. Ci ritroviamo nel corridoio a fumare e scopro con piacere che parla benissimo inglese, parla solo di politica. Ma quando balla fa davvero un figurone.

La domenica in relax vado a trovare la mia amichetta australiana Viv. A breve ripartirà, passando prima a trovare i suoi figli: in via di licenza diciamoli uno in Irlanda, l'altra nel New Jersey. Ne approfitterà per visitare un po' l'Europa. Due mesi in tutto. Viv non capisce il mio stupore, poi le spiego che è a causa del rapporto distanza-tempo che sono a bocca aperta. Mi risponde che il viaggio aereo è di poche ore. Il mondo ha proporzione diverse a seconda di quanto tu lo viva effettivamente.
Viv sta vendendo tutte le sue cose e ha organizzato un mercato in casa con i cartellini dei prezzi e quant'altro. Tutto è davvero conveniente. Io sto scegliendo le tende quando arriva una sua amica turca. Mi aveva raccontato la sua storia pochi minuti prima. Sposata con un suo vecchissimo amico d'infanzia, con cui non si era più vista per undici anni, e arrivati all'altare dopo soli 2 mesi insieme. Sembra sia una cosa normale qui in Turchia, per la facilità burocratica dell'atto e dell'eventuale divorzio, indolore anche quello (burocratese parlando).
Non fa in tempo ad entrare che già la sua espressione dice tutto. Si stanno separando, dopo solo due settimane di matrimonio. Il motivo si trova nel fatto che il novello maritino, subito dopo il matrimonio si comporta come se lei fosse la sua domestica. Peccato sia la domestica quella che lavora, la proprietaria di casa, nonché quella che paga le bollette e fa la spesa. A volte i vecchi stereotipi tardano ad autodistruggersi e scomparire cortesemente.

Ombra si fa veder e sentire poco. Anzi oserei dire che quasi mi sfugge. Potere è scioccato dal fatto che non mi dia una mano per davvero.

Io trovo sempre una scusa, non ci credo nemmeno io. Non può non voler aiutarmi.
Quindi sono in un punto fermo, proprio morto, che sa quasi di stantio. Non mi riesco a sentire adeguata a non fare quello per cui sono venuta.
La volta che finalmente Ombra si palesa diviene subito una figura davvero ingombrante e riesce nel giro di poche ore a scoprire tutti i miei fili scoperti. Tenendoci a lui, riesce proprio a colpirmi ed arrivare al punto. Anzi ai punti.
Il primo a raccontare è lui.
Sciorina fuori tutti i suoi problemi e io mi sento una stupida ad aver dubitato di lui. Poi ci ripenso. Sarà tutto vero? Lo dirà proprio per farmi sentire così?
Non mi è dato saperlo. Povera vecchia europea che non sono altro.
Non disdegna comunque le mie storie, non risparmiandosi nei commenti. Dopo una lunga digressione sull'apprendimento del turco conclude col dire che, di fatto, mi sarà impossibile impararlo. A scuola usano il turco ufficiale che in realtà non esiste, i miei amici parlano fluentemente in inglese e al mercato piuttosto parlano curdo. Una missione che necessita troppi sforzi e non porta a nessun risultato.
Anche se questa è una favoletta, pensata per dire a se stesso che ci sono tante attenuanti per imparare veramente una lingua diversa dalla propria, mi sento di replicare. Un ghigno sarcastico si fa spasso nel suo viso, finendo per acconsentire come si fa con gli stupidi. Arriva poi il momento di criticare la mia scelta di frequentare un corso e un gruppo di arrampicata qui a Istanbul. Una banda di arrampicatori molto simpatica, friendly, divertente. Mi hanno trasmesso un bellissimo senso di rilassatezza e di casa, a differenza di Ombra. Uno sport da far dal paese in cui vengo o al massimo nei paesi confinanti – dice lui. In effetti non capirò mai la vera cultura e la vera vita in Turchia se persevero a cercare il riflesso dei miei interessi anche fuori da casa mia, così esotici e, appunto, senza senso...
Ombra cerca di cambiare argomento, mi chiede cosa farò la sera successiva. Vado all'incontro Couchsurfing per imparare lo spagnolo – rispondo io senza troppa enfasi.
Un grande sospiro gli fa gonfiare il torace e alzare le spalle.
- Ma perché vuoi imparare lo spagnolo Marianna!?! Sei a Istanbul! -.
Come se non fossi libera di impiegare il mio tempo e i miei sforzi. Le mie passioni.
Uno. Due. Tre.
Conto di nuovo.
Uno. Due. Tre.
Ancora resisto nonostante mi istighi a mandarlo a quel paese.
La conversazione continua. Nel frattempo abbiamo cambiato bar. Abbiamo raggiunto i suoi amici in questo locale che sembra la casa di qualcuno. Si può fumare dentro e subito ci portano un vassoio di pesci tipici del Karadeniz (Mar Nero), accompagnati da insalata. Al tavolo accanto al nostro incontro il danzatore turco dell'altra sera. Ci salutiamo contenti, forse il momento migliore della serata.
Io e Ombra cominciamo a discutere con più vigore. Mi accusa di non essere di mentalità aperta, di non tenere ai diritti delle donne, o almeno non abbastanza.
Sono stufa di questi discorsi e questo pressappochismo. Non ho bisogno di dimostrare il mio punto di vista, di quanto creda fortemente che non ci siano differenze nel genere umano, che siano di genere, orientamento sessuale, cultura o colore. Non devo dimostrare a nessuno quanto siamo tutti kardesler. Lo siamo e basta. Ombra non lo capisce. Usa parole altolocate. Prende come esempio le sue amiche femministe, così intelligenti che infatti pensano che concedersi ogni qual volta si voglia sia l'obiettivo delle loro lotte.
Intelligenza.
Quanti parametri usiamo in antropologia per definirla e nonostante tutto non arriviamo a capirla. Nemmeno nel presente.
Ombra si merita la sua stessa arma. Non mi risparmio. I suoi amici smettono di parlare sentendo uscirmi dalla bocca le sue stesse parole scurrili, in turco.
Così Ombra sorride con amarezza. Mi dice che in fondo sono vecchia dentro e forse è per questo che sono intelligente, ma soprattutto mi ha aiutato il fatto di essere così ugly. Però gli manca avermi come coinquilina. Non riesco proprio a seguirlo: ancora non capisco questi parametri di giudizio.

L'ennesima serata a ballare al Peyote è passata e le mie palpebre sempre più pesanti. Squilla il telefono, è Potere. Ha dimenticato le chiavi. Quando entra mi dice – Scusami kardesim* -.


* = Fratelli, senza differenze di genere. Kardesim= mio fratello, mia sorella.







lunedì 21 febbraio 2011

C'è confusione, che svista!

Era ovvio che non avrei potuto trovare una casa di persone normali. Ma questo pepe in più mi rallegra e mi permette di essere sopportata io stessa.
Stiamo mangiando e abbiamo un ospite, il ragazzo dalla fidanzata gelosissima. Sta parlando con Potere e i toni si alzano. Quasi non me ne rendo conto, mi giro e li vedo all'ingresso a fare flessioni, l'uno di fronte all'altro, con aria di sfida. L'altro coinquilino fa yoga, mi devo far insegnare. Ormai lo chiamiamo tutti Gabi, per comodità, anche se, prima di doversi trasferire qui, Potere si ostinava a chiamarlo Gabriella, tanto che ero un po' confusa. -No, ma ha la barba!- Mi aveva confermato Potere. Quindi Gabi, studente erasmus, fa yoga e riesce a toccarsi le ginocchia col naso. Anch'io, se ho le gambe piegate.

Giocano spesso a backgammon, sia i turchi che i crucchi. Volano i dadi, così veloci da non riuscir nemmeno a leggervi il punteggio, e parole, forti. Provano a spiegarmi le regole ma non mi sembra un gioco così divertente da veramente cercare di capire. Sarà perché sono più la tipa da carte o Tabù e simili. In più quando viene Angeliki a casa, la mia nuova compagna di sventure greca, batte Potere a più riprese. Le sue parole, pur essendo una ragazza, sono più forti delle sue. Abbattuto per questa umiliazione Potere ci prepara un tè e ci offre dei dolcetti fatti dalla madre. Ci rimane davvero male. Non riesce a guardar negli occhi Angeliki fino al momento dei saluti.

Non me lo sarei mai aspettata ma ieri mi sono trovata a mangiare nella mensa della stazione centrale della polizia. Davanti a un piatto di disgustosi e acquosi manti Potere mi guarda con uno sguardo di comprensione ma con una punta di divertimento. Tre poliziotti richiamati all'ordine mi strappano per un attimo un ghigno: allertati per una qualche emergenza iniziano a correre ridendo a malincuore del loro pasto da buttare, lasciato ancora caldo sul tavolo.

Sono ancora una mezza clandestina qui senza il permesso di soggiorno. Non posso uscire dal paese almeno fino all'otto marzo.

Sotto i nostri piedi Potere mi dice che ci sono le carceri. Lui c'è stato. Non è un bel posto, in particolare pensando al fatto che siamo negli anni 2000. Sicuramente gli studenti dell'Università di Heidelberg erano trattati meglio dei detenuti di questo posto di cemento, molto tempo fa. Quando Potere è stato fermato per ''accertamenti'' a seguito di una manifestazione l'hanno infilato in una cella da quattro con una ventina di persone.

Faceva freddo, tanto freddo. Ci avevano dato solo due coperte e avevano preso i nostri cappotti. Poche celle più in là le donne, nelle stesse nostre condizioni. Abbiamo sentito urla e bestemmie. Gli agenti avevano molta fantasia per richiamare le donne e nessuna pareva apprezzare. Incominciammo ad inveire contro i poliziotti che diventavano sempre più spiacevoli, ma almeno avevano spostato su di noi la loro attenzione. Partì una musica che si fece sempre più forte, inni fascisti. Di tutta risposta cominciammo a cantare le nostre canzoni rosse, sempre più forte e più forte ancora. Li avevamo sovrastati. Li avevamo sfiniti moralmente. Avevamo cantato così a lungo ma nessuno si era accorto del tempo che era passato. Arriva la mattina ma non la luce, ci fanno uscire. Non hanno trovato nessun motivo valido per trattenerci. - Siete fortunati - ci dicono - Ieri non vi avremmo riservato tale lussurioso trattamento -. In effetti non ci hanno toccati. Sono contenti, pare.
È il 22 febbraio 2008, giorno di approvazione del Partenariato per l'adesione della Turchia in Europa.

La sera con Potere mi avvio all'incontro di conversazione spagnola. Io non l'ho mai studiato ma rispetto allo studio del turco mi dovrebbe risultare più facile. Lui si è fissato che vuole imparare lo spagnolo, anche se ha due italiani in casa. Dopo dieci minuti non resiste più e mi abbandona, mentre io approfitto di una donnina turca che mi spiega il pasado. Tornando a casa incontro Angeliki con il suo amico turco in giacca e cravatta. Si chiama Vulcano. Non lo sopporto da quando mi ha chiesto per quale ragione mi 'abbassassi' a far la cameriera con cotanti titoli sul mio CV.
Pioviggina in modo fastidioso. Ormai è una settimana che è così. Rimandiamo la serata fricchettona fuori poi non riusciamo a rinunciarvi. Il freddo ci spacca le labbra ma Potere canta e suona imperterrito. Mi dispiace solo non conoscere nessuna di quelle canzoni. Suzi prova il darbuka ma anche la torre di Galata la guarda storta. Io non ci provo nemmeno.

Un quadretto perfetto. Potere, la sua tipa conosciuta su internet, l'amico con la fidanzata gelosissima, il ragazzo di Tarlabasi, alias T-boy. Ed io. Volano parole turche ma soprattutto gerghi di strada. Mi dovrei sentire isolata od estranea a questo gruppo invece mi ritrovo a ridere con uno, a parlare delle manifestazioni degli studenti europei con un altro e di legalizzazione della cannabis con quell'altro ancora. Nessuno qui conosce gli Ska-p, un classico adolescenziale. La ragazza fissa al computer, non ride nemmeno delle battute di cui io mi piego in due dalle risate. Gli unici suoni da attribuirle sono le battute sulla tastiera e l'avvertimento di un messaggio nella chat di Facebook. T-boy si è tagliato i baffi ed i capelli. Ora per fortuna non ha più quell'aria di naftalina rivoluzionaria turca, ritrova il suoi 28 anni, ora sua età anagrafica, età mentale ed anche, ora, esteriore. 
Potere mi chiede: -Posso raccontar loro la tua storia?- Non vedo il lato interessante ma a lui piace. I miei soggiorni all'estero, la lontananza da casa, la mia voglia di imparare le lingue, la mia situazione amorosa. Gli piace sentirla, gli piace raccontarla. In particolare a lume di candela: siamo di nuovo senza corrente.
Comincio a non sentirmi in forma, forse a causa dei balli curdi, grechi e salentini in cui non mi sono limitata, ho un forte pizzicorio alla gola.

                                                        ...il sirtaki ballato con Angeliki...
                                                                                               ...e la pizzica che non guasta mai!

Per fortuna non sono totalmente abbandonata a me stessa: Potere mi prepara fraternamente un beverone bollente a base di succo di limone, menta, origano e pepe nero. Tantissimo pepe nero. Starnutisco solo a guardarlo. Efficace però.
E come da mio stile, mi si fa notare, mi sa che vado a letto.
[Pausa lavata di zanne, canticchiando musichette inesistenti]
- Buona notte, iyi geceler! - Dico io.
- Sana da, to you too! - Risponde lui.


domenica 13 febbraio 2011

Cosa ne pensi della guerra?

Finalmente ho trovato casa. Ho avvertito Ombra il giorno stesso del trasloco, fornendogli delle motivazioni utilitaristiche: sicurezza, prezzo, zona. Il suo sguardo si fa più cupo e timidamente mi chiede se non ci siano altre ragioni nascoste dietro alla mia decisione. Non riesco a dirgli altro: essere amici e coinquilini non è la stessa cosa e come amico non lo voglio proprio ferire, nonostante si sia mangiato per la seconda volta consecutiva gli spaghetti che mi ero appositamente comprata per la cena.

La ricerca della casa è stata più efficace di quanto pensassi. Nel giro di poche ore fisso un appuntamento con Ozguç, nome che significa più o meno proprio reale potere, Potere per gli amici.
Lo incontro al Galata Saray Lisesi. Arriva arrancando vestito da intellettualoide di sinistra con tanto di giacchetta di velluto a coste e mocassini di finta pelle nera anni 90. Quando lo vedo arrivare provo compassione per lui, anche se me ne vergogno un po', perché da una manica non spunta nessuna mano. Dopo 2 minuti siamo già arrivati a destinazione, passando per una strada decorata dai panni stesi che corrono da una parte all'altra della strada. Napoli -penso – Che bellezza! Vedere certe cose è raro per una fiorentina di questi tempi, dato che stender la biancheria sulla strada nel centro storico è vietato. Qualche puro sanfredianino continua con questa domestica tradizione ma comunque l'atmosfera non è la stessa.
In casa siamo accolti da due gattine fin troppo affettuose e infatti si chiamano Signorina e, per perifrasi, Facile Signorina. La casa è accogliente, il bagno è alla turca ma pulito, c'è un bel teporino e ci leviamo qualche strato di velluto, Potere, e lana, io. Lui si accende una sigaretta senza difficoltà: eh certo, non difetta di nessun arto o falange che sia.
Le domande che mi pone per giudicare se possa essere una papabile coinquilina sono un po' anomale ma senza dubbio dirette.
- Hai problemi con i gay? - Personalmente no, anzi, la domanda mi dà un po' fastidio.. E se fosse uno di quegli integralisti e omofobici? Qui si mette male. Invece no, il futuro coinquilino, che prenderà la terza stanza, è di parte e giustamente Potere non vuole una di quelle persone che temevo di aver trovato in lui. L'ospitalità è eccezionale, quindi davanti ad un tè, si passa ad argomenti più profondi. - E cosa ne dici della guerra?-. La mia espressione sarà stata esaustiva visto che adesso scrivo dal salotto di questa casa, con davanti Potere che canticchia musichette tradizionali curde, contento.

Ogni giorno, verso le due del pomeriggio, ci arriva la voce di un simpatico vecchino: Sto arrivandoooo... Arrivoooooo..... Me ne sto andandoooooo..... Una sorta di cocco-bello-cocco-fresco del pane in piena città. Lo potete ammirare ed ascoltare nel video del link un po' più sotto, davanti al portone di casa mia. Anche il mercato della domenica non è niente male. Un vero rione pieno di bancarelle in cui si può trovare più di quello che si sta cercando e molto spesso per sole “Bir Liraaaa, bir Liraaaaa!” (Una lira). Un po' più in là c'è anche il mercato dell'usato dove tutto è disposto per terra sulle vie dissestate e piene di fuochi improvvisati. Se non si è troppo sensibili al forte odore di muffa e al fumo che impedisce una ricognizione appropriata del territorio si riescono a fare veri e propri affari. Purtroppo è tardissimo quando arriviamo io e Potere, quindi riusciamo ad accaparrarci solo una confezione quasi intera di filtri ultra-slim, una collanina ed un posacenere a forma di anfora. Potere mi promette che mi ci riaccompagnerà un'altra domenica, di mattina, ma dubito che riuscirà a svegliarsi prima delle 14, dato che di solito si alza in pomeriggio inoltrato. Vabbè, le domeniche che dovrò spendere qui sono ancora tante.


Spesso Potere ed io ci ritroviamo da soli a cenare e a chiacchierare. Mi racconta tante storie. Spesso crude e soprattutto curde.



Il quartiere confinante è Tarlabaşı, che come accoglienza all'entrata ha un grosso carro armato ingabbiato in una cancellata in fronte alla stazione di polizia.
Ci vivono i veri poveri e i veri emarginati. L'esempio più eclatante sono i trans.


Verso il 1995 bambini rapiti dalle loro terre, dalle loro capanne dei villaggi di montagna, si sono ritrovati nella Grande Mela turca, senza sapere perchè, senza conoscere nemmeno la lingua ufficiale. Nonostante il loro unico impegno dovesse essere la scuola e il gioco si ritrovano in cinema squallidi a dar piacere a omaccioni per poche Lire, Lire Turche. Segni che non si cancellano. Mentre mi racconta tutto ciò Potere ha gli occhi lucidi per la rabbia e il dispiacere. Quei bambini sono nostri coetanei ora e hanno una percezione deviata della vita e si ritrovano ancora lungo queste strade a rubare, spacciare o a prostituirsi. Sono troppo lontani dai bambini che incontro davanti al portone di casa e che mi corrono incontro per toccare la mia sciarpa blu urlando -Mavi! Maviiiii!-. Loro giocano a strega mangia-colore, io giocavo al Playmobil, Potere ad acchiappino. Loro, i bambini di Tarlabaşı, giocavano a far gli oggetti sessuali.
Quindi mi chiedo di nuovo: -Cosa ne penso della guerra?-. Ma che guerra... La Guerra autorizzata a decidere della vita, e della morte, di bambini come questi.
Nel 1995 avevo 9 anni e scrivevo i miei temi sul mio miglior amico e sulla gita in campagna domenicale.

Sbottono un po' il cappotto, il sole è bello forte e quasi mi acceca, infatti solo quando mi porto dietro gli occhiali da sole finisce per piovere. Sui baracchini dei produttori ambulanti di succhi di frutta si fanno spazio spicchi di ananas accanto ai classici melograni, arance, pompelmi, kiwi e mele. Tutto intorno mi fa capire quanto questo sia un giorno importante: la fine della mia burocrazia, almeno per quanto riguarda il lato finanziario. Arrivata in banca mi porgono una lucente carta giallo canarino. Peccato non ci siano soldi dentro, ancora.

Un grande gap culturale – penso.

Quasi dimenticavo che oggi si festeggia San Valentino. Allora vi mando un messaggio con scritto “Ti Amo” dalla Turchia, trovato sul web.






giovedì 3 febbraio 2011

Buropazzia

Welcome to Istanbul again.
E' quasi una quindicina di giorni che sono tornata ad Istanbul ed ancora non sono riuscita a cominciare la mia ricerca. La lunga via crucis per uffici sembra appena cominciata dato che spuntano fuori nuovi sportelli da visitare, in cui transitare in ogni posto in cui mi reco.
Come primo passo ho dato un occhio alla mia lettera di accettazione, scorrendo le mille informazioni ed ecco finalmente il contact institution.
Mi lancio quindi verso l'indirizzo del contatto datomi dall'Ambasciata. L'ufficio è dentro la corte di un liceo, mi viene indicato il primo piano dove c'è un gruppo di vispe terese che mangiano e brindano in onore, apparentemente, del continente africano.
Una ragazza guarda incuriosita i miei documenti e attacca una lunga tiritera turca. Alle poche domande che capisco rispondo, entusiasta. Poi la conversazione mi sfugge di mano, prendendo una piega un po´ troppo complessa e cerchiamo qualcuno che parli una lingua a me nota. Troviamo quindi un bravuomo impegnato in una filosofica conversazione in francese. Non me ne rendo nemmeno conto ma il mio viso si è contratto involontariamente in un sorriso, come quelli che fanno certe scimmie per mostrare i denti. L´homme agè mi spiega tutto l´iter burocratico che devo seguire come se fosse un gioco con traguardi da superare senza i quali non si può raggiungere il livello successivo.



Il primo traguardo e l´Istanbul Universitesi dove all´entrata mi attendono una decina di guardie armate a cui mostro i miei mille documenti. Uno di loro, che sembra avere sedici anni, mi accompagna nel laboratorio di preistoria dove incontro un dottorando che parla un impacciato inglese. La grande aula didattica sembra arredata da un collezionista d´arte dell´Ottocento. Negli scaffali sono accatastati alla meglio miliardi di esempi di ceramica neolitica. Ogni tanto spunta un cartellino: Cayönü, Mersin....
Ozan, che significa cantore, il dottorando, mi accompagna dalla sua professoressa per le presentazioni: peccato non sia a conoscenza ne del mio arrivo ne minimamente del mio progetto. Sembro essere spuntata dal nulla e sembra non ci sia niente da fare per aiutarmi. Il consiglio della professoressa, rivelatasi essere nient´altro che la padrona di casa di Ombra (quella nella strada dei ricambi per auto e dei disponibili donnoni russi per intendersi) è bussare a tutte le porte di un lungo corridoio che sembra prestato dalla sceneggiatura di Shining. La porta fortunata è ovviamente l´ultima. Ben presto quattro signorine si dedicano alla mia causa, ritrovando il mio tomo di documentazione inviato dall´Italia.
E´ il Professor ´´Tonno´´ che ha accettato il mio progetto - diligentemente scritto in francese – il capo del dipartimento. Il cantore resta al mio fianco, in silenzio. Quando chiedo a Ombra se per caso conoscesse questo ragazzo mi informa che sono compagni di corso, commentando: “Certo che ti ha dato una mano. Lui è una di quei turchi che si mostrano gentili quando vedono arrivare una ragazza straniera!”. Sarà anche così ma almeno lui una mano me la dà.
Nonostante le quattro segretarie siano molto zelanti devo ripassare altre due volte in dipartimento per riuscir ad ottenere tutti i documenti necessari a superare le difficoltà di questo primo livello, senza ancora comunque poter iniziare il mio lavoro vero e proprio.
Sono a dir poco esausta, specialmente oggi, dato che nonostante tutti gli sforzi - tra i quali una visita all´´ufficio delle entrate turco per richiedere un dubbio ´´´tax code´´- mi ritrovo seduta in un bar e pensare al da farsi.

La mia ansia da documentazione purtroppo non finisce qui. Alla quarta visita in banca riesco ad aprire il conto corrente, inutile dire che non ho ancora la carta. Raggiungo lo schema della stazione di polizia ma non riesco ad arrivare al punto di salvataggio. Prima vado alla stazione centrale che più che altro sembra un centro di profughi. Gli stranieri qui però siamo noi, gli europei, gli occidentali, i soliti capitalisti. Dopo una mattinata spesa qui ci viene dato un minuscolo bigliettino con scritto sopra l'indirizzo del sito internet dell'Ufficio per stranieri. Si viene ricevuti solo previo appuntamento on-line, e-randevu. Peccato che non c'è posto fino a Marzo, peggio che prenotare una visita da uno specialista all'Asl. Cerco di aggirare il problema prenotandomi per un appuntamento in un altro Ufficio, un po' più periferico. L'idea non va a buon fine. Due giovanissime poliziotte e un altro ufficiale mi fanno capire che solo la sede principale può rilasciare i permessi di soggiorno. Un'ora per capire questa piccola ma fondamentale informazione. Eh si, perché nell'Ufficio per stranieri nessuno si è voluto prendere la briga di imparare una lingua straniera. Quando mi mostro stranita per questa profonda barriera comunicativa i simpaticoni ironizzano, mi chiedono se nel medesimo Ufficio in Italia parlino turco. Mi sembra di aver trovato i cugini dei nostri carabinieri. Poi mi consola dicendo che avere l'appuntamento per Marzo alla fine non è poi così male perché almeno avrò il tempo di migliorare il mio turco in modo da poter capire e farmi capire.

Il culmine di questa avventura burocratica lo raggiungo il Lunedì, alla mia seconda gita alla I.E.T.T., la compagnia di trasporti locale. Dopo avermi consegnato per la seconda volta la carta sbagliata, con sconto per studenti invece di quella gratuita, mi inizio ad infastidire.
Più volte ripeto che ci sia un problema ma nessuno mi vuol dar ragione. Chiedo di parlare con un superiore, che parli inglese.

Un alto manichino in completo grigio e cravatta nera plasticata mi fa accomodare nel tugurio del suo ufficio. Con calma mi spiega che io non ho diritto alla carta che chiedo, essendo italiana. Io insisto fino alla nausea ma lui non perde il controllo, fermo nella sua posizione, affermando che solo gli studenti e i ricercatori che ricevono una borsa di studio dal governo turco ne abbiano diritto. Non ci sente da nessun orecchio quando lo informo che io sono, a tutti gli effetti, borsista del suo fantomatico governo. -Non può essere, impossibile- replica. -Sei italiana, non turca-. I toni della conversazione diventano più acri. Sono io che perdo il controllo. Con tutto il tempo che mi fanno perdere nei vari uffici mi impediscono di fare quello per cui sono venuta: lavorare per loro, pagata da loro. Mi sbatte in faccia la sua arroganza cercando tra i documenti della cartellina che mi porto sempre dietro, afferrandoli lesto dal tavolo sul quale li avevo appoggiati. Questo è troppo. Levarmi praticamente di mano i miei documenti, senza un minimo cenno di richiesta, ciancicarli tutti e cercando di spulciarli da cima a fondo, non è concepibile. Non mi resta che reagire all'affronto. Ormai sono esplosa e intercalo insulti in italiano da frasi del tipo -It's not your business!-. Un'ora e varie telefonate dopo sono ancora là. Il damerino non riesce ad accettare il fatto che io abbia avuto ragione per tutto questo tempo. Mi invita ad aspettare fuori con lo sguardo arcigno e il fumo che gli esce dalle orecchie. Ancora non ho in mano quello per cui sono venuta, sono stata trattata come una criminale e la rabbia più che calare mi monta a livelli esponenziali. Sbatto la porta. Inveisco contro tutti. *Mutazione scaricatore di porto attivata*.

Tornando a casa, sotto il cavalcavia incontro un mendicante che cammina a zig-zag con in mano un sacchetto che contiene uno strano liquido verde – il suo vomito. Punta un passante in completo e ventiquattrore rincorrendolo con le braccia protese verso di lui e additandogli il sacchetto ovviamente.
Devo proprio cambiare quartiere.

domenica 30 gennaio 2011

Possessivi: il mio taxi. (L´ultimo di Dicembre 2010)

Eccoci qui. Finito il corso, tempo di esami.
L'impegno da parte di tutti è stato incredibile: mai visto nessuno con tale forte motivazione ad imparare una lingua straniera, o almeno nella mia esperienza di insegnante di italiano per stranieri.
Il giorno dell'esame tutti concentrati sui nostri fogli, seri, con le sopracciglia aggrottate, mordicchiando la penna. Il momento peggiore: i risultati, la consegna dei certificati. Dopo dieci minuti dalla fine dell'esame Brezza (Meltem, l'insegnante di turco) arriva con un sorriso smagliante. Qualcuno si è assentato un attimo per andar in bagno o a fumar una sigaretta, quindi lei insiste per aspettarli: “Bisogna esser tutti per la cerimonia di consegna dei certificati. Scopriremo chi è il migliore!”.
Ci scambiamo un'occhiata perplessa con il mio amico Taksim-dipendente che per prende per primo coraggio per chiedere: “Is she serious?”. “Of course not, she's joking!”, rispondo io, rifiutando assolutamente questa lontana e anti-pedagogica ipotesi. L'ipotesi irreale diviene presto cosa seria e concreta, con consegna dal più bravo al meno bravo. All'ultimo, manca un certificato. Dimenticanza – penso, in buona fede. Purtroppo no, niente certificato per chi non raggiunge un certo livello. Brezza si rivolge al povero studente dicendo, a più riprese, “Mi dispiace davvero, non c'è stato niente da fare”. Quasi fosse un medico alle prese con un paziente incurabile!

La migliore cura per reagire ad un anti-pedagogismo così accurato è sicuramente la buona compagnia. Quindi pranziamo insieme e presto dimentichiamo l'accaduto, tranne forse l'interessato, che lo coverà ancora per un po'... Restiamo in zona Taksim ovviamente, nome su cui scherziamo, infilando frasi a caso, freschi di esercizi di grammatica turca trovandoci la forma del possessivo.

Casa mi aspetta più lurida che mai, oltre che piena di gente. Eh sì, sabato viene celebrato il matrimonio di due amici di Ombra e per l'occasione ha invitato un numero imprecisabile di amici a casa. Capisco che vengono da tutte le parti più sperdute della Turchia, ma possibile che Ombra sia l'unico ad abitare a Istanbul?!?
Finalmente si scopre che sono solo cinque gli amici, che la notte non mi fanno dormire perché urlano e vaneggiano, sporcando il bagno appena pulito appositamente per loro. Ho dovuto aspettare a pulirlo perché non avevo i guanti: a guanti comprati e messi, mi son pentita di non averne comprati un secondo paio. Poi, vi sembra normale che io debba pulire per gli ospiti (puzzolenti tra l'altro) del mio coinquilino? Stavolta mi immedesimo in mia madre quando dice: “”E chi sono io?!? La cameriera?!?”.

La mattina, dopo una simpatica notte di canzoni urlate provenienti dal soggiorno, mi devo svegliare alle 5.45. Non è colpa mia.
Arrivano i francesi con l'autobus, provenienti dal soggiorno in Grecia e li devo andare a prendere perché non potrebbero mai trovare la mia strada, o meglio, la strada delle simpatiche donnine russe. E pensare che non sono stretti conoscenti: sono la sorella del mio amico conosciuto a Parigi e che vive oltreoceano con il suo ragazzo.
Peccato arrivino all'appuntamento solo alle 8 invece che alle 6. Stavo per andare via, quando li vedo arrivare. A casa mi sento sfrattata, occupata la mia stanza, pieno il soggiorno, mi ritrovo a fare compagnia agli insetti in cucina, con una sedia bassa bassa e il computer sul bancone, alto, troppo alto. Decido di fare un giro ma trovo solo una strada di negozi di divise per poliziotti.


Ore 19.25 precise appuntamento davanti al Consolato Italiano. Canta un tenore italiano e mi commuovo inevitabilmente fino al momento del bis: non riesce a rinunciare a o sole mio e turnassurient. Il mio amico libanese è entusiasta e non smette di ringraziarmi per il fatto che altrimenti non sarebbe mai venuto a conoscenza del concerto se non fosse stato per me.
Il posto scelto per la cena è l'istituto turco di cucina, dove la nostra cuoca australiana ha fatto un really expencive corso. I piatti sembrano tutti allettanti sia in lingua turca che in inglese e scorriamo il menu mangiandolo con gli occhi. Immaginate la sorpresa quando mi vedo arrivare un piatto con una vera e propria cotoletta alla milanese! Certo, il tutto accompagnato da carote tagliate a forma di rosa e patate fatte a mo' di stelle, ma pur sempre una cotoletta!!!!! La scelta più fortunata la fanno le tedesche: Anne prende una deliziosa pietanza composta da mele cotogne ripiene di carne macinata, riso e spezie, mentre Katharina un delizioso coscetto di pollo reso accattivante da tanti chicchi di melograno e noci tritate.

Dopo una serata così non ci rimane che andare a sfogarci, bevendo e ballando. Infiliamo all'ultimo piano di un palazzo, accedendo così al locale forse più noti agli stranieri che vivono e/o transitano ad Istanbul: mi spiace deludervi, ma scordo sempre il nome, ve lo dirò al più presto.
In un batter d'occhio tutti a scatenarsi in pista, tranne il piccolo timidone che rimane seduto muovendo, non troppo a tempo, le spalle e, nei momenti di slancio, la testa. La mia compagna di viaggio greca lo rinomina infatti il signor ”ballo sulla sedia”, aggiungendo un: ”Patetico!” dall'alto del suo vestito giallo anni '70 abbinato a degli stivali di gomma blu elettrico.
Con lei mi accingo alla terrazza per fumatori. Attorno a noi i tetti d'Istanbul a perdita d'occhio, una quantità imprecisata di moschee, una vista da togliere il fiato. Proprio un panorama da condividere con qualcuno. Realizzo di essere con Dora e la sua mise sgargiante: la guardo, lei mi sorride  mostrandomi i suoi denti gialli a causa del pacchetto giornaliero di Malboro.
 
Anche il tempo dell'ultima cena arriva velocemente e mi sembra doveroso preparare qualcosa al mio caro amico Ombra. Porto in tavola un'improvvisata pasta al forno che Ombra insulta a voce alta, continuando comunque a mangiare. I franzosi, con un divertente sguardo attonito, non sanno proprio come comportarsi di fronte a questa così spontanea maleducazione.

La mattina successiva mi ritrovo alla fermata dell'autobus che porta all'aeroporto senza nemmeno rendermene conto. Mi risvegliano tre bellissime ragazze che parlano una lingua molto interessante: un italiano inglesizzato arricchito da turco e un pizzico di tedesco. Non riesco a non trovare una scusa per inserirmi nel discorso. Diventiamo subito amiche del cuore e scopro che sono una ragazza tedesca e due turche che parlano in spagnolo. Grazie, penso.

Catapultata in aeroporto subisco meccanicamente le varie fasi del mio viaggio: Fiumicino, Termini, piazza Zama. Arrivata a Roma fa caldo, caldo caldo, ancora.