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lunedì 3 settembre 2012

Good Luck – Boa Sorte



I due posti a Roma in cui bisogna stare attenti agli scippi sono il mercato di Porta Portese e l'autobus numero 64. 



Domenica salpo per Porta Portese, facendo affari incredibili, anche svogliatamente, dopo non esser riuscita a trovare quello per cui ero venuta: lo specchietto sinistro del mio affidabilissimo Agility – un nome un programma – maltrattato dalla peggiore manifestazione di romanità, la maleducazione.
Al lato delle bancarelle c'è una faccia di questo posto che non si anima solo la domenica. In vecchi magazzini malconci sfilano file di caschi, tute, ricambi di biciclette che solleticano vorticosamente i miei ricordi. Nient'altro che la concorrente d'Oriente, nei suoi ferramenta di Karakoy e, perché no, nella strada di ricambi d'auto della casa mia e di Ombra.
Un piccolo scorcio che accorcia le distanze tra me e la mia Istanbul, facendomi intravedere un possibile nido dove restare, forse.
Insacchetto due camicie semiserie, o come va di moda nel mio mondo dire, da colloquio, un paio di pantaloni che non mi entreranno e un miniabito, per una di quelle serate per le quali mia madre pensa sempre che bisogna essere preparati. Inutile dire che non ce ne sono mai state di queste famose serate. Non partecipo mica a serate di beneficenza con i soldi degli altri, io. Totale 3 Euro, devoluti per la mia causa, naturalmente.


Le nuvole sono come le mie camicie nuove di mercato, quindi decido di proseguire, ancora un po'. Il caffè, servitomi da un cinesino rasta con accento romanaccio e pagato ad una stupenda ragazza caraibica, mi dà la grinta giusta per razzolare in un banchino di libri che stuzzica il mio appetito quanto solo un buon tramezzino tonno-pomodoro riesce a fare. Il mio portafogli mi obbliga a dure scelte. Mi porto a casa la guida rossa di Roma, devo davvero imparare a conoscerla questa città. Lascio con amarezza un Assimil portoghese brasiliano, mi prudono le mani, tornerò. Un ometto romano si premura d'informarmi subito che c'è anche il prontuario per il greco antico, elencandomi diatribe di decenni sulla pronuncia del “vecchio e nuovo” greco.
- Sono completamente ignorante in materia – rispondo, cercando di fuggire dai suoi fiumi di parole e quelli creati dall'acquazzone estivo scatenatosi in quel momento.
Alla prima goccia, tutti i curiosi intenti a sfogliare pagine di positivismo, Ebla e simbologia primitiva si muovono a ritmo, come se richiamati dall'alzabandiera e via, in salvo tutti i libri!


Alla fine della gita spunta dal mucchio delle banalità una bella coccinella.

Buona Fortuna.

E' già l'una passata, la fame si sente come la voglia di mangiare, magari a casa.
Quindi, cosa può essere meglio di un delizioso un kebab siriano?


venerdì 17 febbraio 2012

Dentro e fuori

Cra-cra. Cra-cra. Il mio cellulare mi informa dell'arrivo di un messaggio.
Puzzini di fritto, linciaggi dei camionisti, fantasmi delle stanze in fondo, strani aiuti ai benzinai di notte, ci sono tutti gli elementi per una storia”.

La benzina mi costa così tanto che se voglio uscire, ora, ci penso. Vedo il vento di fuori e ci ripenso. Mi addentro nel mercato della ridente località di Bagno a Ripoli ma Zefiro mi ricaccia dentro. Serve una prova di coraggio e domenica, armata di biglietto dell'ATAF, mi faccio spingere fino in centro. Insieme ad una ventina di persone, saliamo sul Palazzo Vecchio. Su su, fino ai merli, lassù all'aperto. Ed ecco che, stupita, ammiro Firenze per la prima volta. Effettivamente, cambiando punto di vista, si cambia proprio prospettiva. Ed è sempre così. Ogni volta. Il serbatoio intanto piange. Che brutta la routine.
Straniera in casa propria.
Ci mancava altro che il trasloco. Salutare quella casa che è stato sempre il salvagente. Andare via ma sapere che c'era, nonostante sentissi parlare francese, turco, ostrogoto. Sapere là i fiori secchi della strega a proteggere la casa, anche dalla megera di quella di sopra.
Ora c'è il biliardo a pensare a tutto e mi manca pure lui, lo sento lontano.






Per sentirmi a casa ho cominciato il corso di turco. Ho scoperto dei falsi amici, ci sono sempre. Fare non è altro che un topo. E mai dimenticarsi della i senza il puntino per non scivolare da spesso a Fot**i*ti! La stanza del corso è in fondo, quasi di sbieco e non si vede bene. A metà lezione entra un omone alto alto chiedendo a muso duro chi fossimo. Non soddisfatto chiede il perché di quella riunione. Alla risposta “Turco!” gira i tacchi e sbatte la porta con un grugnito.

Una sera vado in visita ai miei amici con la storia complicata da spiegare che poi tutti mi finiscono solo col chiedere: “Ma perché li conosci?”. Paula, argentina, ci ha preparato la pizza. Vive col suo canadese, lo chiamerò Dante, data la sua grande competenza e passione per la cultura italiana nonostante lui monti i tendoni del circo, per lavoro. Arrivo a casa inebriata dai discorsi in inglese, italiano, spagnolo e francese. Respiro, a casa. Ho riempito bottiglie di plastica di conchiglie prese un po' in qua e un po' in là. Giusto per ricordarmi da dove vengo. Inspiro ed espiro. Non può essere, no, dai. La mia maglia sa di fritto. Abbiamo mangiato la pizza, migliore della maggior parte delle pizze a Firenze. Al forno a gas.

Arrivano i dinosauri a Firenze. Così dice Repubblica. I camion li scaricano con grazia davanti all'Orto Botanico. E poi li fanno a pezzi, indifesi. Se si potessero ribellare...

Il messaggio concludeva così:
Lo sapevate che la benzina può fondere le bottiglie di plastica?”