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martedì 26 aprile 2011

Istanbul'da Aşk. Amore ad Istanbul.


Pochi film e sono già esausta. Questo è l'Istanbul Film Festival e pensare che io mi sono vista solo quattro film. La gente impazzita fa maratone anche da quattro film a giornata. A me non riescono a entrare così tante informazioni cinematografiche in così poco tempo. Mi faccio sopraffare, specialmente se quello che vedo mi fa pensare e, se così non fosse, non ne varrebbe nemmeno la pena.

Prima scena da dimenticare per una che ha la famosa fobia che ho io.
Non che il seguito sia stato così facile da digerire. Una metafora della vita valida ancora oggi: uomini e donne, stipati in anguste celle che vendono se stessi o si vendono a vicenda per un pezzo di pane, una scopata, una sigaretta. Cos'è che ci fa ricordare di essere umani? Cos'è davvero che ci fa distinguere dagli animali? A volte penso che i veri animali siamo noi, infognati nei nostri pensieri malsani e il nostro aspetto da difendere.

La 'bellissima' scenografia.

Immaginate il film più brutto che possiate vedere. Moltiplicatelo per n volte e ancora non siete nemmeno lontanamente vicini. Eppure il titolo prometteva bene. Quando chiedo a Potere se vuole accompagnarmi gli dico: “Are you interested in 'Istanbul'da aşk'?”
Mi risponde con un sorrisetto: “E chi non è interessato?!? é una vita che lo cerco!”.
Peccato che non trovo nessuno spunto nel cinema dove la cosa più interessante sono i disegni sul muro, sembra di stare nel teatrino di Mangiafuoco.
Potere continua a cercarlo l'amore ad Istanbul ma ancora pare non avere successo. Si poggia su un fiore e poi su un altro, senza tregua. C'è una sfilza intera di ragazze con lo stesso nome, poi la bionda anoressica e la femminista figlia di papà. Non m'importa niente della bellezza -dice- voglio solo trovare l'amore.
E in questa città gli spunti sarebbero tanti: le margherite nel pratino del sultano, la luce fioca del tramonto vista dalle sponde asiatiche, brindare con una Efez fresca dopo le salite di Büyükada (la grande isola), il suono del Bağlama...
Ora è arrivato anche il sole a riscaldare i cuori. Anche a me viene più voglia di sorridere, anche a pensare quanti bellissimi tipi di amore ci sono. Ho trovato un fratello qui, che mi consola quando sono triste e mi insegna i balli curdi per strapparmi un sorriso. Spero che Potere trovi la sua margherita, quanto se la meriterebbe.
Penso alle sorelle che ho a casa che mi fanno commuovere ogni volta e che a volte si incontrano anche per caso, immagino le espressioni felici della Bionda e della Strega a bersi spensierate un bicerin a Torino.
Penso a quanto è bello andar via per poter tornare.
Ciò non toglie che quando si resta a casa non si vede l'ora di fuggire e cambiar aria.
Straniera all'estero, straniera in casa propria.
Floransa'da aşk potrebbe essere un miglior film?


L'amaro in bocca non tarda a tornare. Col gruppo di conversazione in italiano andiamo a vedere Draquila. Sabina Guzzanti è presente. Alla fine del documentario viene voglia di dimenticare ciò che si è appena visto ma purtroppo non serve a niente. Come non serve a niente scappare. Un intellettualoide italiano mi sente e subito mi aggredisce e con la bocca storta mi dice: “Scappare?!? Bellina, io son venuto qui a lavorare!” In effetti, lavorare in Turchia per un italiano è abbastanza facile, ma sembra un po' un controsenso abbandonare le ingiustizie della terra natia per fregarsene anche di quelle, da certi punti di vista anche peggiori, turche.
Ormai gli italiani all'estero sono diventati ancora di più una barzelletta di quelli che restano.
Una sera vado a mangiare in un localetto tranquillo e, con mia grande disapprovazione, inciampo in uno squallido piano bar di un napoletano. Non so ancora decidere se il peggio in questa situazione sia lui con la sua scelta di pessime canzoni rappresentanti l'Italia dal suo punto di vista o una cicciona impicciona, anche lei campana, che commenta “Eh, un po' di campanilismo ci vuole ogni tanto!”.
Andiamo via schifati. Comunico il mio disappunto alla cameriera che mi chiede di dove siamo. Italiani! -dico io- ma qui d'Italia non c'è nulla!

venerdì 1 aprile 2011

Güneş. Il sole.

E' arrivata la primavera tanto agognata. Così dice il calendario, non il tempo. L'aria soporifera però già si respira, insieme a tutte le buone intenzioni o, almeno, quelle di fare un buon pisolino pomeridiano.
Questa settimana è stata un susseguirsi di conferenze di archeologi italiani che mi hanno riportato in una dimensione parallela. Il mio amico dottorando croato si trova in gravi difficoltà tra i relatori che parlano in italiano e la traduzione simultanea turca. Non da meno gli incontri all'IFEA che si sprecano tra francese e turco. Per la prima volta sono fortunata ad esser un'italiana che ha fatto l'Erasmus in Francia.
Ancora in tema di conferenze la più curiosa, per esser gentili, è quella tenuta da uno schizzato quarantenne inglese, illustratore archeologico, che ci presenta le sue opere piene di pathos di ricostruzioni di accampamenti e scene di caccia mesolitici, conventi medievali e un sorridente faraone di colore.
K.Wilson. Scena di caccia mesolitica.
Il suo colloquiare è zeppo di enfasi e battute, non comprese completamente dai suoi spettatori turchi e la sua lecture scorre veloce anche se non senza perplessità. Una punta d'arroganza da prendere in considerazione.
Il lavoro comincia ad ingranare, dopo non poche incomprensioni: mi ritrovo quindi ad incontrare Vakif, un urbanista. Chiedo al mio compagno di lavoro, Yasin, come possa riconoscerlo. Lui mi risponde che è molto facile perché “He's the orange one!”. Infatti in un secondo lo identifico: lunghi rasta rossi e un maglione arancione peruviano. Una rarità turca. Un fricchettone rosso che parla fluentemente inglese e francese. Nella pausa pranzo mi lancio nella caffetteria dell'università e in un attacco di fame mi ritrovo in una mano un hamburger e nell'altra un panino con crocchette di pollo e patatine. Non mi è venuto in mente che, con le mani così occupate non è così facile mettere ketchup e maionese. Dopo una giostra di scambi di mano e equilibri decido di ingurgitare il primo e farcire abbondantemente il secondo. Scopro con vergogna che l'urbanista sta osservando la scena, sorridendo. Così mi sono conquistata la sua simpatia e dopo la conferenza all'Istituto di Cultura Italiana andiamo a prenderci una birra insieme al croato. Quest'ultimo finisce col dirmi che, per essere italiana, sono abbastanza cool. Non mi resta che riflettere su questa affermazione. Mi accendo una sigaretta con l'accendino che avevo lasciato a Izmir a Novembre e che Erdan, che mi ospitò in casa sua, mi ha diligentemente riportato nella sua capatina a Istanbul di due ore. Siamo a Marzo, penso. Strani questi turchi. O saranno così solo gli amici di Ombra?

Un pomeriggio di riconciliazione, Ombra mi racconta quanto lui stesso non sia un tipico turco, a modo suo. L'aneddoto ha luogo davanti alla Residenza Universitaria di Nanterre, Parigi, dove Ombra incontra a caso una sua amica turca a cui aveva promesso un CD. Nel porgerglielo, l'altro amico turco inizia a fare battutine alla quartordicenne, scrutando nei minimi particolari il nostro caro Ombra. Al che il simpaticone nota qualcosa sul collo di Ombra e subito si informa: “Passata bene la serata eh? Chi te l'ha fatto questo succhiotto?”. Ombra ci mette un po' a capire. Allora mi fa vedere il collo e mi chiede se avevo mai visto quella macchia. A malapena ora, perché me lo ha fatto notare, scopro una piccola voglia sul collo. Niente di che. Ombra si congratula con l'altro per la sua prontezza di spirito e se ne va boffocchiando.

Foto O. Kozan, Ballando al Newroz.
L'arrivo della primavera mi porta sonnolenza e confusione e appunto tutto ciò viene riflesso nel mio post di oggi.
Da menzionare la celebrazione dell'arrivo della primavera (quest'anno Domenica 20 Marzo) in Turchia, meglio nota come Newroz. L'argomento è abbastanza delicato in quanto l'origine di questa festa è molto antica e prende spunto da leggende e storie popolari radicate nella società da secoli. E' Potere che mi racconta la storia lontana di questa celebrazione. Dedicherò uno spazio solo per questa storia, affinché non venga nascosta dalla mia vena prolissa di oggi.
Ora mi soffermo sul lato problematico dell'evento. Il primo avviso l'ho avuto quando ho chiesto ad un gruppetto di amici turchi se domenica sarebbero venuti anche loro al Newroz. Il loro sguardo mi dice tutto. All'inizio penso che siano degli integralisti nazionalisti contrari alle manifestazione delle altre minoranze etniche. Poi, yavaş yavaş (mano a mano) capisco che come tutte le cose, all'inizio spensierate e naturali, la contaminazione politicizzante é ormai un passo obbligato. Ormai siamo agli estremi sia dalla parte di un governo che fino al 2000 vietava tale celebrazione sia dal lato di chi, senza entrar nei particolari spinosi, strumentalizza la “festa del nuovo giorno” con un'azione politica al di sopra delle righe.
Per chi è pratico di Couchsurfing consiglio di andare a spulciare la discussione sollevata da un'altra straniera come me a Istanbul sul fatto di partecipare al Newroz:

Il mio commento? Io sono andata e ho visto sorrisi, tanti piedi danzanti e mani al ritmo della musica. Intorno stavano grandi fuochi, con fumo e cenere da far venir le lacrime agli occhi, sfidati da bambini e adulti, che saltavano da un lato all'altro dei falò. 
Foto O. Kozan. Istanbul, Newroz 2011

Ho sentito i fumi delle grigliate ancora più alti e il vento che li spingeva verso le antiche mura della città. Le scarpe coperte di fango ed i colori della gente. La folla paziente nel dileguarsi, nonostante il passo da lumaca e le buone 3 ore per arrivare alla fermata dell'autobus.



Altra notizia importante è l'arrivo del mio permesso di soggiorno. Pronto da perdere, tanto lo so. 
Nella lunghissima fila di 3 o 4 ore non mi ricordo, nonostante l'appuntamento preso, ho conosciuto una figura molto interessante: un curdo siriano che non tornerà più a casa e che studia all'Università a Istanbul l'unica cosa che poteva fare dato il suo scarso punteggio, Lingua e Letteratura Latina, dato che nessuno ci si iscrive. Peggio di preistoria, incredibile.



Quindi è arrivato il finto güneş, per poi rintanarsi nuovamente sotto le coperte. Un po' credo comunque di averlo ritrovato: nelle nuove parole che imparo, in turco e in spagnolo, negli occhi degli amici vogliosi di nuove parole, in italiano, negli errori che facciamo e nelle soddisfazioni che ci prendiamo.
Poi un concerto d'intesa turco-spagnola. Ascolta il gruppo turco, i Bandista!

Sono andata col gruppo di turchi che studiano lo spagnolo. Una ragazza mi ha chiesto dove fossero gli altri e non sapendo risponder in spagnolo ho dovuto usare vergognosamente il turco. Merdivende! (Per le scale!).

Avevo finito l'olio di girasole e, guardando l'etichetta, non c'è traccia di güneş. In Turchia, per questo fiore, sembra che decida la luna.