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lunedì 21 febbraio 2011

C'è confusione, che svista!

Era ovvio che non avrei potuto trovare una casa di persone normali. Ma questo pepe in più mi rallegra e mi permette di essere sopportata io stessa.
Stiamo mangiando e abbiamo un ospite, il ragazzo dalla fidanzata gelosissima. Sta parlando con Potere e i toni si alzano. Quasi non me ne rendo conto, mi giro e li vedo all'ingresso a fare flessioni, l'uno di fronte all'altro, con aria di sfida. L'altro coinquilino fa yoga, mi devo far insegnare. Ormai lo chiamiamo tutti Gabi, per comodità, anche se, prima di doversi trasferire qui, Potere si ostinava a chiamarlo Gabriella, tanto che ero un po' confusa. -No, ma ha la barba!- Mi aveva confermato Potere. Quindi Gabi, studente erasmus, fa yoga e riesce a toccarsi le ginocchia col naso. Anch'io, se ho le gambe piegate.

Giocano spesso a backgammon, sia i turchi che i crucchi. Volano i dadi, così veloci da non riuscir nemmeno a leggervi il punteggio, e parole, forti. Provano a spiegarmi le regole ma non mi sembra un gioco così divertente da veramente cercare di capire. Sarà perché sono più la tipa da carte o Tabù e simili. In più quando viene Angeliki a casa, la mia nuova compagna di sventure greca, batte Potere a più riprese. Le sue parole, pur essendo una ragazza, sono più forti delle sue. Abbattuto per questa umiliazione Potere ci prepara un tè e ci offre dei dolcetti fatti dalla madre. Ci rimane davvero male. Non riesce a guardar negli occhi Angeliki fino al momento dei saluti.

Non me lo sarei mai aspettata ma ieri mi sono trovata a mangiare nella mensa della stazione centrale della polizia. Davanti a un piatto di disgustosi e acquosi manti Potere mi guarda con uno sguardo di comprensione ma con una punta di divertimento. Tre poliziotti richiamati all'ordine mi strappano per un attimo un ghigno: allertati per una qualche emergenza iniziano a correre ridendo a malincuore del loro pasto da buttare, lasciato ancora caldo sul tavolo.

Sono ancora una mezza clandestina qui senza il permesso di soggiorno. Non posso uscire dal paese almeno fino all'otto marzo.

Sotto i nostri piedi Potere mi dice che ci sono le carceri. Lui c'è stato. Non è un bel posto, in particolare pensando al fatto che siamo negli anni 2000. Sicuramente gli studenti dell'Università di Heidelberg erano trattati meglio dei detenuti di questo posto di cemento, molto tempo fa. Quando Potere è stato fermato per ''accertamenti'' a seguito di una manifestazione l'hanno infilato in una cella da quattro con una ventina di persone.

Faceva freddo, tanto freddo. Ci avevano dato solo due coperte e avevano preso i nostri cappotti. Poche celle più in là le donne, nelle stesse nostre condizioni. Abbiamo sentito urla e bestemmie. Gli agenti avevano molta fantasia per richiamare le donne e nessuna pareva apprezzare. Incominciammo ad inveire contro i poliziotti che diventavano sempre più spiacevoli, ma almeno avevano spostato su di noi la loro attenzione. Partì una musica che si fece sempre più forte, inni fascisti. Di tutta risposta cominciammo a cantare le nostre canzoni rosse, sempre più forte e più forte ancora. Li avevamo sovrastati. Li avevamo sfiniti moralmente. Avevamo cantato così a lungo ma nessuno si era accorto del tempo che era passato. Arriva la mattina ma non la luce, ci fanno uscire. Non hanno trovato nessun motivo valido per trattenerci. - Siete fortunati - ci dicono - Ieri non vi avremmo riservato tale lussurioso trattamento -. In effetti non ci hanno toccati. Sono contenti, pare.
È il 22 febbraio 2008, giorno di approvazione del Partenariato per l'adesione della Turchia in Europa.

La sera con Potere mi avvio all'incontro di conversazione spagnola. Io non l'ho mai studiato ma rispetto allo studio del turco mi dovrebbe risultare più facile. Lui si è fissato che vuole imparare lo spagnolo, anche se ha due italiani in casa. Dopo dieci minuti non resiste più e mi abbandona, mentre io approfitto di una donnina turca che mi spiega il pasado. Tornando a casa incontro Angeliki con il suo amico turco in giacca e cravatta. Si chiama Vulcano. Non lo sopporto da quando mi ha chiesto per quale ragione mi 'abbassassi' a far la cameriera con cotanti titoli sul mio CV.
Pioviggina in modo fastidioso. Ormai è una settimana che è così. Rimandiamo la serata fricchettona fuori poi non riusciamo a rinunciarvi. Il freddo ci spacca le labbra ma Potere canta e suona imperterrito. Mi dispiace solo non conoscere nessuna di quelle canzoni. Suzi prova il darbuka ma anche la torre di Galata la guarda storta. Io non ci provo nemmeno.

Un quadretto perfetto. Potere, la sua tipa conosciuta su internet, l'amico con la fidanzata gelosissima, il ragazzo di Tarlabasi, alias T-boy. Ed io. Volano parole turche ma soprattutto gerghi di strada. Mi dovrei sentire isolata od estranea a questo gruppo invece mi ritrovo a ridere con uno, a parlare delle manifestazioni degli studenti europei con un altro e di legalizzazione della cannabis con quell'altro ancora. Nessuno qui conosce gli Ska-p, un classico adolescenziale. La ragazza fissa al computer, non ride nemmeno delle battute di cui io mi piego in due dalle risate. Gli unici suoni da attribuirle sono le battute sulla tastiera e l'avvertimento di un messaggio nella chat di Facebook. T-boy si è tagliato i baffi ed i capelli. Ora per fortuna non ha più quell'aria di naftalina rivoluzionaria turca, ritrova il suoi 28 anni, ora sua età anagrafica, età mentale ed anche, ora, esteriore. 
Potere mi chiede: -Posso raccontar loro la tua storia?- Non vedo il lato interessante ma a lui piace. I miei soggiorni all'estero, la lontananza da casa, la mia voglia di imparare le lingue, la mia situazione amorosa. Gli piace sentirla, gli piace raccontarla. In particolare a lume di candela: siamo di nuovo senza corrente.
Comincio a non sentirmi in forma, forse a causa dei balli curdi, grechi e salentini in cui non mi sono limitata, ho un forte pizzicorio alla gola.

                                                        ...il sirtaki ballato con Angeliki...
                                                                                               ...e la pizzica che non guasta mai!

Per fortuna non sono totalmente abbandonata a me stessa: Potere mi prepara fraternamente un beverone bollente a base di succo di limone, menta, origano e pepe nero. Tantissimo pepe nero. Starnutisco solo a guardarlo. Efficace però.
E come da mio stile, mi si fa notare, mi sa che vado a letto.
[Pausa lavata di zanne, canticchiando musichette inesistenti]
- Buona notte, iyi geceler! - Dico io.
- Sana da, to you too! - Risponde lui.


domenica 13 febbraio 2011

Cosa ne pensi della guerra?

Finalmente ho trovato casa. Ho avvertito Ombra il giorno stesso del trasloco, fornendogli delle motivazioni utilitaristiche: sicurezza, prezzo, zona. Il suo sguardo si fa più cupo e timidamente mi chiede se non ci siano altre ragioni nascoste dietro alla mia decisione. Non riesco a dirgli altro: essere amici e coinquilini non è la stessa cosa e come amico non lo voglio proprio ferire, nonostante si sia mangiato per la seconda volta consecutiva gli spaghetti che mi ero appositamente comprata per la cena.

La ricerca della casa è stata più efficace di quanto pensassi. Nel giro di poche ore fisso un appuntamento con Ozguç, nome che significa più o meno proprio reale potere, Potere per gli amici.
Lo incontro al Galata Saray Lisesi. Arriva arrancando vestito da intellettualoide di sinistra con tanto di giacchetta di velluto a coste e mocassini di finta pelle nera anni 90. Quando lo vedo arrivare provo compassione per lui, anche se me ne vergogno un po', perché da una manica non spunta nessuna mano. Dopo 2 minuti siamo già arrivati a destinazione, passando per una strada decorata dai panni stesi che corrono da una parte all'altra della strada. Napoli -penso – Che bellezza! Vedere certe cose è raro per una fiorentina di questi tempi, dato che stender la biancheria sulla strada nel centro storico è vietato. Qualche puro sanfredianino continua con questa domestica tradizione ma comunque l'atmosfera non è la stessa.
In casa siamo accolti da due gattine fin troppo affettuose e infatti si chiamano Signorina e, per perifrasi, Facile Signorina. La casa è accogliente, il bagno è alla turca ma pulito, c'è un bel teporino e ci leviamo qualche strato di velluto, Potere, e lana, io. Lui si accende una sigaretta senza difficoltà: eh certo, non difetta di nessun arto o falange che sia.
Le domande che mi pone per giudicare se possa essere una papabile coinquilina sono un po' anomale ma senza dubbio dirette.
- Hai problemi con i gay? - Personalmente no, anzi, la domanda mi dà un po' fastidio.. E se fosse uno di quegli integralisti e omofobici? Qui si mette male. Invece no, il futuro coinquilino, che prenderà la terza stanza, è di parte e giustamente Potere non vuole una di quelle persone che temevo di aver trovato in lui. L'ospitalità è eccezionale, quindi davanti ad un tè, si passa ad argomenti più profondi. - E cosa ne dici della guerra?-. La mia espressione sarà stata esaustiva visto che adesso scrivo dal salotto di questa casa, con davanti Potere che canticchia musichette tradizionali curde, contento.

Ogni giorno, verso le due del pomeriggio, ci arriva la voce di un simpatico vecchino: Sto arrivandoooo... Arrivoooooo..... Me ne sto andandoooooo..... Una sorta di cocco-bello-cocco-fresco del pane in piena città. Lo potete ammirare ed ascoltare nel video del link un po' più sotto, davanti al portone di casa mia. Anche il mercato della domenica non è niente male. Un vero rione pieno di bancarelle in cui si può trovare più di quello che si sta cercando e molto spesso per sole “Bir Liraaaa, bir Liraaaaa!” (Una lira). Un po' più in là c'è anche il mercato dell'usato dove tutto è disposto per terra sulle vie dissestate e piene di fuochi improvvisati. Se non si è troppo sensibili al forte odore di muffa e al fumo che impedisce una ricognizione appropriata del territorio si riescono a fare veri e propri affari. Purtroppo è tardissimo quando arriviamo io e Potere, quindi riusciamo ad accaparrarci solo una confezione quasi intera di filtri ultra-slim, una collanina ed un posacenere a forma di anfora. Potere mi promette che mi ci riaccompagnerà un'altra domenica, di mattina, ma dubito che riuscirà a svegliarsi prima delle 14, dato che di solito si alza in pomeriggio inoltrato. Vabbè, le domeniche che dovrò spendere qui sono ancora tante.


Spesso Potere ed io ci ritroviamo da soli a cenare e a chiacchierare. Mi racconta tante storie. Spesso crude e soprattutto curde.



Il quartiere confinante è Tarlabaşı, che come accoglienza all'entrata ha un grosso carro armato ingabbiato in una cancellata in fronte alla stazione di polizia.
Ci vivono i veri poveri e i veri emarginati. L'esempio più eclatante sono i trans.


Verso il 1995 bambini rapiti dalle loro terre, dalle loro capanne dei villaggi di montagna, si sono ritrovati nella Grande Mela turca, senza sapere perchè, senza conoscere nemmeno la lingua ufficiale. Nonostante il loro unico impegno dovesse essere la scuola e il gioco si ritrovano in cinema squallidi a dar piacere a omaccioni per poche Lire, Lire Turche. Segni che non si cancellano. Mentre mi racconta tutto ciò Potere ha gli occhi lucidi per la rabbia e il dispiacere. Quei bambini sono nostri coetanei ora e hanno una percezione deviata della vita e si ritrovano ancora lungo queste strade a rubare, spacciare o a prostituirsi. Sono troppo lontani dai bambini che incontro davanti al portone di casa e che mi corrono incontro per toccare la mia sciarpa blu urlando -Mavi! Maviiiii!-. Loro giocano a strega mangia-colore, io giocavo al Playmobil, Potere ad acchiappino. Loro, i bambini di Tarlabaşı, giocavano a far gli oggetti sessuali.
Quindi mi chiedo di nuovo: -Cosa ne penso della guerra?-. Ma che guerra... La Guerra autorizzata a decidere della vita, e della morte, di bambini come questi.
Nel 1995 avevo 9 anni e scrivevo i miei temi sul mio miglior amico e sulla gita in campagna domenicale.

Sbottono un po' il cappotto, il sole è bello forte e quasi mi acceca, infatti solo quando mi porto dietro gli occhiali da sole finisce per piovere. Sui baracchini dei produttori ambulanti di succhi di frutta si fanno spazio spicchi di ananas accanto ai classici melograni, arance, pompelmi, kiwi e mele. Tutto intorno mi fa capire quanto questo sia un giorno importante: la fine della mia burocrazia, almeno per quanto riguarda il lato finanziario. Arrivata in banca mi porgono una lucente carta giallo canarino. Peccato non ci siano soldi dentro, ancora.

Un grande gap culturale – penso.

Quasi dimenticavo che oggi si festeggia San Valentino. Allora vi mando un messaggio con scritto “Ti Amo” dalla Turchia, trovato sul web.






giovedì 3 febbraio 2011

Buropazzia

Welcome to Istanbul again.
E' quasi una quindicina di giorni che sono tornata ad Istanbul ed ancora non sono riuscita a cominciare la mia ricerca. La lunga via crucis per uffici sembra appena cominciata dato che spuntano fuori nuovi sportelli da visitare, in cui transitare in ogni posto in cui mi reco.
Come primo passo ho dato un occhio alla mia lettera di accettazione, scorrendo le mille informazioni ed ecco finalmente il contact institution.
Mi lancio quindi verso l'indirizzo del contatto datomi dall'Ambasciata. L'ufficio è dentro la corte di un liceo, mi viene indicato il primo piano dove c'è un gruppo di vispe terese che mangiano e brindano in onore, apparentemente, del continente africano.
Una ragazza guarda incuriosita i miei documenti e attacca una lunga tiritera turca. Alle poche domande che capisco rispondo, entusiasta. Poi la conversazione mi sfugge di mano, prendendo una piega un po´ troppo complessa e cerchiamo qualcuno che parli una lingua a me nota. Troviamo quindi un bravuomo impegnato in una filosofica conversazione in francese. Non me ne rendo nemmeno conto ma il mio viso si è contratto involontariamente in un sorriso, come quelli che fanno certe scimmie per mostrare i denti. L´homme agè mi spiega tutto l´iter burocratico che devo seguire come se fosse un gioco con traguardi da superare senza i quali non si può raggiungere il livello successivo.



Il primo traguardo e l´Istanbul Universitesi dove all´entrata mi attendono una decina di guardie armate a cui mostro i miei mille documenti. Uno di loro, che sembra avere sedici anni, mi accompagna nel laboratorio di preistoria dove incontro un dottorando che parla un impacciato inglese. La grande aula didattica sembra arredata da un collezionista d´arte dell´Ottocento. Negli scaffali sono accatastati alla meglio miliardi di esempi di ceramica neolitica. Ogni tanto spunta un cartellino: Cayönü, Mersin....
Ozan, che significa cantore, il dottorando, mi accompagna dalla sua professoressa per le presentazioni: peccato non sia a conoscenza ne del mio arrivo ne minimamente del mio progetto. Sembro essere spuntata dal nulla e sembra non ci sia niente da fare per aiutarmi. Il consiglio della professoressa, rivelatasi essere nient´altro che la padrona di casa di Ombra (quella nella strada dei ricambi per auto e dei disponibili donnoni russi per intendersi) è bussare a tutte le porte di un lungo corridoio che sembra prestato dalla sceneggiatura di Shining. La porta fortunata è ovviamente l´ultima. Ben presto quattro signorine si dedicano alla mia causa, ritrovando il mio tomo di documentazione inviato dall´Italia.
E´ il Professor ´´Tonno´´ che ha accettato il mio progetto - diligentemente scritto in francese – il capo del dipartimento. Il cantore resta al mio fianco, in silenzio. Quando chiedo a Ombra se per caso conoscesse questo ragazzo mi informa che sono compagni di corso, commentando: “Certo che ti ha dato una mano. Lui è una di quei turchi che si mostrano gentili quando vedono arrivare una ragazza straniera!”. Sarà anche così ma almeno lui una mano me la dà.
Nonostante le quattro segretarie siano molto zelanti devo ripassare altre due volte in dipartimento per riuscir ad ottenere tutti i documenti necessari a superare le difficoltà di questo primo livello, senza ancora comunque poter iniziare il mio lavoro vero e proprio.
Sono a dir poco esausta, specialmente oggi, dato che nonostante tutti gli sforzi - tra i quali una visita all´´ufficio delle entrate turco per richiedere un dubbio ´´´tax code´´- mi ritrovo seduta in un bar e pensare al da farsi.

La mia ansia da documentazione purtroppo non finisce qui. Alla quarta visita in banca riesco ad aprire il conto corrente, inutile dire che non ho ancora la carta. Raggiungo lo schema della stazione di polizia ma non riesco ad arrivare al punto di salvataggio. Prima vado alla stazione centrale che più che altro sembra un centro di profughi. Gli stranieri qui però siamo noi, gli europei, gli occidentali, i soliti capitalisti. Dopo una mattinata spesa qui ci viene dato un minuscolo bigliettino con scritto sopra l'indirizzo del sito internet dell'Ufficio per stranieri. Si viene ricevuti solo previo appuntamento on-line, e-randevu. Peccato che non c'è posto fino a Marzo, peggio che prenotare una visita da uno specialista all'Asl. Cerco di aggirare il problema prenotandomi per un appuntamento in un altro Ufficio, un po' più periferico. L'idea non va a buon fine. Due giovanissime poliziotte e un altro ufficiale mi fanno capire che solo la sede principale può rilasciare i permessi di soggiorno. Un'ora per capire questa piccola ma fondamentale informazione. Eh si, perché nell'Ufficio per stranieri nessuno si è voluto prendere la briga di imparare una lingua straniera. Quando mi mostro stranita per questa profonda barriera comunicativa i simpaticoni ironizzano, mi chiedono se nel medesimo Ufficio in Italia parlino turco. Mi sembra di aver trovato i cugini dei nostri carabinieri. Poi mi consola dicendo che avere l'appuntamento per Marzo alla fine non è poi così male perché almeno avrò il tempo di migliorare il mio turco in modo da poter capire e farmi capire.

Il culmine di questa avventura burocratica lo raggiungo il Lunedì, alla mia seconda gita alla I.E.T.T., la compagnia di trasporti locale. Dopo avermi consegnato per la seconda volta la carta sbagliata, con sconto per studenti invece di quella gratuita, mi inizio ad infastidire.
Più volte ripeto che ci sia un problema ma nessuno mi vuol dar ragione. Chiedo di parlare con un superiore, che parli inglese.

Un alto manichino in completo grigio e cravatta nera plasticata mi fa accomodare nel tugurio del suo ufficio. Con calma mi spiega che io non ho diritto alla carta che chiedo, essendo italiana. Io insisto fino alla nausea ma lui non perde il controllo, fermo nella sua posizione, affermando che solo gli studenti e i ricercatori che ricevono una borsa di studio dal governo turco ne abbiano diritto. Non ci sente da nessun orecchio quando lo informo che io sono, a tutti gli effetti, borsista del suo fantomatico governo. -Non può essere, impossibile- replica. -Sei italiana, non turca-. I toni della conversazione diventano più acri. Sono io che perdo il controllo. Con tutto il tempo che mi fanno perdere nei vari uffici mi impediscono di fare quello per cui sono venuta: lavorare per loro, pagata da loro. Mi sbatte in faccia la sua arroganza cercando tra i documenti della cartellina che mi porto sempre dietro, afferrandoli lesto dal tavolo sul quale li avevo appoggiati. Questo è troppo. Levarmi praticamente di mano i miei documenti, senza un minimo cenno di richiesta, ciancicarli tutti e cercando di spulciarli da cima a fondo, non è concepibile. Non mi resta che reagire all'affronto. Ormai sono esplosa e intercalo insulti in italiano da frasi del tipo -It's not your business!-. Un'ora e varie telefonate dopo sono ancora là. Il damerino non riesce ad accettare il fatto che io abbia avuto ragione per tutto questo tempo. Mi invita ad aspettare fuori con lo sguardo arcigno e il fumo che gli esce dalle orecchie. Ancora non ho in mano quello per cui sono venuta, sono stata trattata come una criminale e la rabbia più che calare mi monta a livelli esponenziali. Sbatto la porta. Inveisco contro tutti. *Mutazione scaricatore di porto attivata*.

Tornando a casa, sotto il cavalcavia incontro un mendicante che cammina a zig-zag con in mano un sacchetto che contiene uno strano liquido verde – il suo vomito. Punta un passante in completo e ventiquattrore rincorrendolo con le braccia protese verso di lui e additandogli il sacchetto ovviamente.
Devo proprio cambiare quartiere.