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sabato 6 novembre 2010

Türkce zor bir dil (Il Turco è una lingua difficile)

Il tempo di studiare è arrivato.
L'aula del corso per principianti è già piena mentre io e una rotonda signora tedesca cerchiamo un posto tra i banchi. La fauna è abbastanza interessante: la maggioranza è di origine tedesca (includiamo qui anche il buon austriaco) ma non manca una scultrice greca, una cuoca australiana, una compagna di viaggio del Doctor Who e due libanesi. Difficile a credere, sono l'unica italiana. L'öğretmen è una tipa arzilla con un io sovra-sviluppato che ci sbatte contro la sua simpatia. Il tutto in inglese.
Il livello generale della classe non è così tremendo, ma nutro forti dubbi sulle scelte di approccio, così poco comunicativo, dell'insegnante.

Le lezioni passano velocemente non c'è che dire, ma servirà arrivare a venerdì per imparare ad usare i verbi, al presente ovviamente. Mi impegno ogni giorno nei miei ev ödevi che costantemente Ombra mi controlla, criticando ogni frase scritta con tanta diligenza sul mio quadernino.
A pranzo approfitto due volte della pausa di Suzi per scambiare due ciane tra ragazze. 

I pomeriggi invece mi divido tra lo studio e il turismo, da sola o con una futura maestra bionda, tedesca. Con lei non è possibile passare inosservati, così passeggiamo inciampando su molti turchi che sbavano per questa carne così esotica, arrivando a passare il Ponte di Galata. (mise 12)


Al calar della sera torno a piedi, voglio godermi l'acquedotto sentendo il suolo sotto i miei piedi invece che l'autobus per una volta.(mise 13)


Giovedì sbircio dall'alto lo stadio. (mise 14)


La sera del venerdì non riusciamo a rinunciare ad uscire: ci facciamo strada tra le vie laterali di Galatasaray, scrutando i prezzi dei vari bar, temendo per i nostri portafogli, quasi fossimo a Oslo.
Le ore passano così in fretta che solo la telefonata di Ombra ci riporta alla realtà: “Marianna, where are you? Call me when you'll find the way to come back home”. E già, l'ora del bus è scaduta. “So sweet friend”, commenta la bionda.
Ci avventuriamo in un taxi il cui conducente risponde al comune stereotipo del chiaccherone. Peccato ci parli in turco. Arranchiamo a capire le sue domande: ci sta chiedendo se parliamo turco e da dove veniamo. Con 10 oneste Lire turche ci lascia a 2 metri da casa.
Scendiamo dal taxi, svincolando tra le donnine che sembrano uscite da Berlino est e i vari vucumprà nativi.
Le chiacchere termineranno solo alle 4 am, dopo aver sentito la storia della vita di Ombra e il silenzio del suo amico.
Anche Anne ha la palpebra pesante. Si, si chiama Anne. Se a Istanbul non può fare a meno di attirare i curiosi, così fin dalla Germania è abituata a sentirsi chiamare dai bambini turchi al supermercato, per poi rendersi conto che non è la loro Anne (mamma, in turco).

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