Martedì salgo di fretta sull'autobus e, dato che sono in ritardo, è l'ora di punta. Quasi non si respira e molti sono costretti a entrare dalle porte posteriori. L'unico modo di pagare la corsa è però passare dal conducente. “Viaggio gratis” ho pensato rintanandomi nel mio Ipod. Poco dopo mi arriva in mano un mazzo di chiavi, poi un altro, con tanto di portachiavi con un ciondolo che ritrae la faccia di Ataturk, poi un abbonamento. E' un passaggio continuo per saldare i conti con l'azienda di trasporti turchi. Arriva anche una banconota da 5 Lire e, poco dopo, il resto. Inevitabile per un'italiana stupirsi di questa correttezza, così spontanea.
Siamo di nuovo sui banchi, ansiosi di apprendere il più possibile quando sento raccontare la stessa storia del bus anche da Anne, basita da questa civiltà, così contraddittoria.
La lezione è presto finita e con i biondi mi accingo a prendere il traghetto per Kadikoy. All'entrata, la storia si ripete. Nonostante ci sia il cancello spalancato, nessuno indugia scegliendo i tornelli. Ancora una volta siamo a bocca aperta.
Ci sediamo a gustare un ricco ed economico piatto di riso e scorgiamo da lontano la nostra compagna di corso australiana. La chiamiamo più volte, finalmente capisce e ci raggiunge, contenta di trovare per caso delle facce note in una città che non è la sua.
Andiamo alla ricerca del grande mercato del Martedì, passando per un toro, finto, ma dopo varie sconnesse conversazioni in turco capiamo che la nostra amata Lonely planet ci aveva fornito informazioni sbagliate: il mercato chiude alle 14.
Ci meritiamo quindi un te, in un carinissimo giardino con libreria annessa.
Il 10 Novembre alle 9.10 esatte sono in piazza Taksim. Parte una sirena anti-bomba e i poliziotti e le ambulanze accendono anche le loro sirene. Il frastuono si confonde con il silenzio della gente, che, fermata alla buona la macchina, scende e si immobilizza, come del resto i semafori, bloccati.
La scena sembra appartenere ad un altro tempo. Solo io e Anne e qualche fotografo spostiamo un po' d'aria cercando di immortalare questo momento. E' un omaggio ad Ataturk, per l'anniversario dalla sua morte.
Il suono della sirena si dipana gradualmente nella piazza e la vita riprende, come se nulla fosse successo.
Kurstan sonra (dopo il corso), festeggiamo il compleanno di Dora, la ragazza greca con cui andrò in Cappadocia, spartendoci un misero pezzo di torta che comunque non riusciamo a finire.
Mi accingo a cercare un cellulare, dato che la scheda nei telefoni non turchi funziona solo per 2 settimane, ma i prezzi sono esorbitanti, se escludiamo un Blackberry usato per 50 LT, che rifiuto con garbo.
Con me rimane solo Mohannad, il cui piccolo universo è confinato a piazza Taksim, tant'è che non ha ancora visto la Torre di Galata. Non riesco a rinunciare a fargli fare un veloce giro, il suo mondo ha bisogno di uno spazio più ampio per sopravvivere -credo. La bandiera turca sventola a mezz'asta per la morte del suo eroe.
La sera arriva presto e così il mio impegno all'istituto italiano di cultura. Proiettano “La pecora nera” e Ascanio Celestini è presente per rispondere alle curiosità e alle pretenziose domande che gli pongono certi giovani intellettuali 'per forza'. Mi rammarico quando sento la maggiore presuntuosità in un ragazzo di Firenze.
La buona dose agro-dolce di cultura italiana mi fa dormire sonni profondi.
Il giovedì e il venerdì sono invece i giorni dei rapporti 'amicali'.
La nostra entusiasta, principalmente per le sue scelte e le sue proprie battute, insegnante ci porta un giorno a pranzo a mangiare un costoso kebap, dove qualcuno viene intimidito dal piatto comune ma non ritrae certo la manina. Ci muoviamo in taksi perché il bus è “faticoso e scomodo”, quindi ce ne servono tre. Nonostante sia quella che ha mangiato più di tutti, mi merito il doggy-bag, in quanto sono quella che abita più vicina. Al ritorno a casa mi seguono i biondi, stuzzicati dalla proposta di caffè italiano. A casa troviamo un'altra strana presenza, l'ex-coinquilino di Ombra che, avendo ancora la chiave, viene qui per lavorare al computer indisturbato: cioè, se non fossimo arrivati noi. Ora purtroppo Pietro (gli ho dato il primo nome passatomi per la testa, quello vero l'ho dimenticato) non parla una parola di inglese. Abbiamo comunque intavolato una discussione che verteva sull'economia turca, anche se tuttora non ne sono poi così convinta che quello fosse davvero il tema della conversazione.
Il giorno successivo ci godiamo metà mattinata di lezione (o forse è meglio dire non-lezione, seppur pagata a caro prezzo) sul mare, per la colazione. Meltem passa a comprare il formaggio al supermercato, ci fermiamo per accaparrarci qualche simit e ci sediamo al tavolo ordinando un semplice te. La frutta ce l'hanno le donnone della classe. Il cameriere non fa una piega: lesto ci porta piattini e coltelli per spartirci il nostro cibo. Immagino la stessa scena a Firenze, dove farsi vedere per anche un secondo bere alla propria bottiglia dell'acqua in un locale significherebbe fare la figura del poveraccio e invoglierebbe la cameriera a ricordarci “La consumazione al tavolo è obbligatoria e l'acqua non è considerata come tale!”.
Da donne forti quali siamo, con Anne ci dirigiamo al Gran Bazar, a dir poco deludente. A salvar il pomeriggio solo un vecchietto con un solo dente che conosceva un paio di frasi per ogni lingua esistente, da cui compriamo davvero a poco e che ci regala i due kalem più pesanti e kitsch della storia del mondo. Ovviamente apprezziamo il pensiero.
Anche un bimbetto attira la nostra attenzione: si sta prendendo cura di un gattino pulcioso.
Il venerdì sera è offuscato. Birra, cerveza, bier, beer, bira: çok bira içtim. Più o meno è quello che ricordo. Il 'più' corrisponde sicuramente ai battibecchi tra il biondo e Ombra: sembrano volersi sbranare da un momento all'altro.
Ora scrivo a lume di candela, non perché scelga di vivere una serata romantica, ma perché la corrente è saltata 8 ore fa e ancora tarda a tornare, lasciandoci esclusi dal mondo virtuale di mail, social network e news on line. La lavatrice monopolizza i miei panni ancora mezzi sporchi e mezzi umidi. Ho dovuto comprare qualcosa da mettere in valigia.